Onda su onda
Di Stefano Palmisano
Note sugli strumenti di (mancata) tutela legale da un nemico dell’ambiente e della salute pubblica sempre meno invisibile
“Un ruolo quindi, almeno concausale, delle radiofrequenze nella genesi della neoplasia che ha patito il sig. Marcolin è ‘probabile’ (probabilità qualificata).”
Così la Corte d’appello di Brescia – Sezione lavoro nella sentenza (pag. 11) n. 614 del 10 dicembre 2009 che chiude un giudizio relativo ad una richiesta di indennità per malattia professionale formulata vanamente all’Inail da un dirigente d’azienda ammalatosi di neurinoma del ganglio di Gasser, un tumore benigno che colpisce i nervi cranici, in particolare il nervo acustico, anche a causa di una lunga esposizione alle onde elettromagnetiche di un telefono cordless e di un telefono cellulare che usava sul posto di lavoro per varie ore al giorno.
“Lo studio MARCONI suggerisce che vi sia stata una associazione importante, coerente e significativa, tra esposizione residenziale alle strutture di Radio Vaticana ed eccesso di rischio di malattia per leucemia e linfomi nei bambini, e che le strutture di MariTele, in modo limitato e additivo, abbiano plausibilmente contribuito all’incremento di quel rischio. [….] Lo studio MARCONI suggerisce che l’esposizione di lungo periodo (oltre 10 anni) alle antenne di Radio Vaticana sia stata associata ad un eccesso di mortalità per leucemia…”
Queste le conclusioni della perizia del dott. Andrea Micheli, dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, depositata nel novembre 2010 alla fine di un lunghissimo incidente probatorio effettuato nel procedimento penale ancora pendente innanzi alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma per le presunte morti e malattie causate dalle onde elettromagnetiche emesse da Radio Vaticana.
Appena qualche giorno fa, infine, l’International EMF Alliance (IEMFA) ovvero l’Alleanza Internazionale sui Campi Elettromagnetici (CEM) ha annunciato la pubblicazione di un consenso scientifico sui pericoli derivanti dall’esposizione ai campi elettromagnetici.
Coordinato dal prof. Olle Johansson, dell’Istituto Karolinska in Svezia, il rapporto è stato prodotto da un consesso di scienziati che richiedono urgentemente ai governi di abbassare significativamente i limiti di esposizione ai campi elettromagnetici. Tale raccomandazione si basa sull’insieme delle evidenze scientifiche biologiche e sulle implicazioni correlate alla salute degli esistenti standard internazionali per le esposizioni alle tecnologie di telecomunicazioni e alle tecnologie elettriche. Gli scienziati suggeriscono specifici limiti di esposizione per diversi campi elettromagnetici, comprese le micro-onde, usate per le comunicazioni wireless, e i campi a bassissime frequenze (ELF) e i campi elettromagnetici.
Questi tre fatti, apparentemente slegati tra loro, in realtà costituiscono tre tasselli di un nuovo, importante mosaico in tema di nocività ambientali che va formandosi con sempre minori incertezze e con sempre maggiore velocità: quello del rapporto tra campi elettromagnetici (CEM) e danni alla salute umana.
Un mosaico, dunque, alla progressiva definizione del quale dovrebbe necessariamente corrispondere la costruzione di un altro: quello di un serio ed efficace apparato di tutela legale della salute pubblica da questa nuova, ancora non ben esplorata, ma non per questo meno insidiosa, fonte di rischio. Una sorgente tanto più potenzialmente lesiva quanto più, oggi, sostanzialmente ubiquitaria nelle nostre società, per non dire nelle nostre case.
Un po’ com’era (e come, per molti versi, è ancora), per dire, un’altra sostanza quando “si scoprì” che non era precisamente benefica per la salute delle persone: l’amianto. Invece, nella realizzazione del secondo mosaico – antidoto, quello legale, non siamo neppure all’anno zero: siamo sottozero.
La constatazione brucia ancor più quanto più si pensi che il 22 febbraio prossimo compirà dieci anni quello che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto essere la maglia più importante della rete di difesa normativa della salute pubblica dal rischio elettrosmog: la legge n. 36\2001.
Un provvedimento legislativo organico e adeguato alle enormi e tumultuose evoluzioni della scienza, ma soprattutto del mercato, in questa materia che avrebbe dovuto garantire un livello di sicurezza per l’incolumità pubblica nettamente superiore a quello apprestato dalla normativa di rango secondario in vigore fino a quel momento: il DM 381/98 sulle RF/MO che aveva previsto, oltre ad un “valore di cautela” (6V/m) come primo strumento di protezione dagli effetti a lungo termine, anche un “obiettivo di qualità”, non quantificato, ma limpidamente ispirato al principio di precauzione: “Fermi restando i limiti di cui all’articolo 3, la progettazione e la realizzazione dei sistemi fissi delle telecomunicazioni e radiotelevisivi operanti nell’intervallo di frequenza compresa fra 100 kHz e 300 GHz e l’adeguamento di quelle preesistenti deve avvenire in modo da produrre i valori di campo elettromagnetico più bassi possibile, compatibilmente con la qualità del servizio svolto dal sistema stesso, al fine di minimizzare l’esposizione della popolazione.” (art. 4)
Sulla base di questi principi, poi assunti ed estesi a tutto lo spettro dei CEM dalla “legge-quadro” 36/01, varie Regioni italiane avevano fissato limiti sufficientemente cautelativi (0,2 µT per i CEM/ELF e 0,5 V/m per le RF/MO).
La 36\2001, pure ufficialmente informata a quelle alate finalità di tutela, però, come spesso accade in tema di “leggi – quadro), prevedeva, in vari suoi articoli, l’emanazione da parte governativa di una normativa attuativa.
Orbene, a distanza di 10 anni, in alcuni casi questi decreti attuativi sono stati effettivamente varati, in altri no.
E, tenendo conto del merito dei Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) emanati, non è facilmente comprensibile in quale delle due situazioni la salute pubblica ne sia risultata maggiormente rinfrancata.
Infatti, in materia di “limiti di esposizione, valori di attenzione e obiettivi di qualità, le tecniche di misurazione e rilevamento dell’inquinamento elettromagnetico e i parametri per la previsione di fasce di rispetto per gli elettrodotti [….]” (art. 4, c. 2), per la popolazione, sono stati stabiliti con i DPCM del 08.07.03.
Questi decreti, approvati nonostante il mancato accordo nella Conferenza Permanente Stato-Regioni, hanno fissato per tutto il territorio nazionale limiti che di cautelativo hanno assai poco, anche e soprattutto in relazione a quelli previgenti: per i CEM/ELF (100-10-3 µT) e 6 V/m per le RF/MO, sia come valore di cautela che come obiettivo di qualità, annullando quindi la doverosa finalità \ possibilità di minimizzare l’esposizione.
In pratica, quella che doveva essere una tappa fondamentale nell’omogeneizzazione e nell’avanzamento dei livelli di tutela della salute pubblica in questa materia ha segnato, invece, una desolante regressione degli stessi.
In altro ambito, altrettanto nevralgico, invece, come si accennava, il Governo semplicemente si è dimenticato di attuare la legge.
Al comma 4 dell’art. 2, difatti, si legge che “alla determinazione dei criteri di elaborazione dei piani di risanamento, ai sensi del comma 1, lettera d), si provvede, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.”
I piani di risanamento in questione sono quelli che avrebbero dovuto esser presentati dai gestori degli elettrodotti, “al fine di assicurare la tutela della salute e dell’ambiente”.
Ma, ancora una volta in materia di tutela legale dell’ambiente e, quindi, della salute pubblica, le note più tragicomiche provengono dal settore che dovrebbe costituire la punta di diamante della difesa stessa: quello penale.
È, naturalmente, fatta salva la teorica possibilità di invocare l’applicazione dell’ordinaria normativa codicistica in materia di lesioni ed, eventualmente, di omicidio colposo; scontando, però, in tal caso, tutte le “normali” difficoltà in ordine alla prova del nesso causale tra esposizione alle sostanze nocive (nella specie, le onde elettromagnetiche) e danni alla salute.
Difficoltà che, peraltro, in questo ambito sarebbero ben più che ordinarie, dato lo stato effettivamente non univoco delle evidenze scientifiche, quantomeno ai fini dell’emissione di una sentenza di condanna penale per omicidio colposo.
Resta, dunque, l’ipotesi di una fattispecie di reato “preventiva” rispetto alla causazione di una malattia da parte dei CEM; un illecito penale, cioè, che punisca la mera emissione di onde e la conseguente formazione di campi elettromagnetici potenzialmente nocivi all’ambiente ed alla salute umana, a prescindere dagli effetti lesivi che possano aver realmente comportato.
In tal senso, purtroppo, la l. 36\2001 è del tutto carente, almeno sotto il profilo strettamente penale, prevedendo essa mere sanzioni amministrative collegate al superamento dei limiti di emissione.
In un quadro di strumenti di tutela di tal fatta, l’unico “serio” (si fa per dire) presidio di difesa penale è rappresentato dall’immarcescibile e, ormai, anch’esso “ubiquo” (per i numerosi campi in cui si prova ad applicarlo in chiave di tutela ambientale: dalla diossina dell’Ilva di Taranto alle polveri sottili della centrale elettrica di Brindisi – Cerano ai CEM, per l’appunto) art. 674 c.p., statuente il c.d. “getto pericoloso di cose”, che punisce “chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte ad offendere o imbrattare o molestare persone”.
Anche in quest’ipotesi, si erano posti in dottrina ed in giurisprudenza numerosi dubbi sull’effettiva possibilità di applicare pure in questa peculiarissima materia la norma in questione, anzitutto, ma non solo, per la difficoltà di qualificare come “cose” i CEM.
Tuttavia, nonostante qualche discutibilissimo arresto giurisprudenziale (il più eclatante dei quali ha nuovamente riguardato Radio Vaticana) di segno opposto, ormai la giurisprudenza maggioritaria si è attestata su una posizione di piena utilizzabilità anche in questo contesto dell’ipotesi di reato in questione.
A questo risultato, comunque, positivo si è giunto anche grazie agli sforzi di elaborazione della più avanzata dottrina e giurisprudenza di merito, sensibili alle esigenze di tutela ambientale e della salute pubblica.
Sforzi, però, per quanto nobili e, a giudizio di chi scrive, del tutto condivisibili nel merito giuridico e di politica del diritto, che sono finalizzati a consentire, in ultima istanza, l’applicazione di una norma che statuisce per coloro che vengano riconosciuti colpevoli di getto pericoloso di cose la punizione “con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino ad € 206” (duecentosei).
Al potere deterrente di tali draconiane sanzioni è oggi affidata la difesa penale dell’ambiente e della salute pubblica da una possibile fonte di aggressione tra le più inquietanti del terzo millennio.
Anche per questa ragione, sarebbe ottima cosa provare a capire se questo Governo – che è delegato ad adottare, entro il termine di nove mesi dalla data di entrata in vigore della c.d. “legge comunitaria” 2010 (ossia entro l’inizio di aprile prossimo), uno o più decreti legislativi al fine di recepire le disposizioni della direttiva 2008/99/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, sulla tutela penale dell’ambiente – tra le varie altre, note, questioni “comunitarie” che affronta ormai quotidianamente (di ben altre comunità, però, rispetto a quella Europea), stia trovando il tempo di adempiere (ed, eventualmente, in che termini) una delega parlamentare, ma soprattutto un direttiva europea, che potrebbero e dovrebbero finalmente, se onorate, porre rimedio all’ennesima situazione caricaturale nel nostro diritto dell’ambiente e provare, così, ad arginare quello che potrebbe diventare l’ennesimo scempio ambientale e di salute pubblica in questo paese.
Stefano Palmisano
“Nel 1936 gli scienziati dicevano che il fumo uccide, eppure solo negli anni ’90 è stato bandito. Ora la storia si ripete con i telefoni cellulari.” (D. Davis)