In una terra di contadini e pescatori, abituati a spaccarsi la schiena per sopravvivere, alla fine degli anni ’60 arriva la fabbrica della felicità del commendatore milanese Locatelli. Si svolta! Si comprano una casa in condominio e l’automobile, si fa la gita al mare la domenica. Il tutto con grande orgoglio. In questo clima cresce il figlio dell’operaio Maurizo Russo che è anche il narratore del romanzo di Giulio Di Luzio, al suo debutto narrativo dopo un largo attivo da saggista di temi sociali scottanti come la vicenda operaia di Manfredonia (“I fantasmi dell’Enichem”), l’immigrazione ed altro.
E proprio la vicenda di Manfredonia, mai nominata nel libro, è rinarrata questa volta con la fantasia e l’approssimazione della letteratura attraverso la storia umana e politica dell’operaio (Nicola Lovecchio) che con il suo medico, a venti anni dall’incidente del 1976, scopre gli effetti a distanza della massiva contaminazione da arsenico sulla sua pelle e su quella di molti compagni di fabbrica. Un’esperienza tanto esaltante sul piano personale nonostante le avversioni, le discriminazioni e le disumanità che saranno incrociate dall’operaio consapevole, quanto disastrosa riguardo agli esiti, almeno quelli immediati, soprattutto giudiziari.
La narrazione è avvincente e ruota intorno al rapporto del lavoratore, inizialmente ignaro degli effetti a lungo temini dell’incidente del 1976 ( il 26 settembre per l’esattezza pochi mesi dopo quello di Seveso) con il suo medico che cura i tumori, ma cerca di chiedersi anche le loro ragioni. Ragioni che contrariamente a quel che fatalisticamente si ritiene nella mentalità superstiziosa della gente, se ben si scava si trovano sempre.
Una storia breve , qualche anno, ma intensa in grado di dare energia a Maurizio Russo e a vincere in certi momenti gli ostacoli che la recrudescenza del tumore ai polmoni frappone alla sua ricerca senza sosta di verità: nuovi casi di compagni colpiti dalla malattia, nuovi documenti che spiegano come il cancerogeno usciva dal ciclo produttivo.
Viene descritto con dovizia di particolari il clima di sospetto che presto circonda la strana coppia medico-operaio con palesi discriminazioni, timore per il pur minimo contatto che possa contaminare ed incrinare la fiducia e la gratitudine di popolazione e maestranze verso il commendatore Locatelli.
Un libro che narra una storia degli anni ’90 ma che i lettori potranno ritrovare in tante parti dell’Italia dopo il boom economico e che ripropone il tema irrisolto dello scontro tra sviluppo e salute. Un’attualità che Gianni Vattimo, prefattore del libro, coglie con un preciso richiamo alla cronaca:“Scrivo questo mentre è in corso il processo, a Ivrea, per l’amianto nella Fabbrica Olivetti (il modello per molti anni dell’industria “buona”, relazioni umane, asili per i bambini dei dipendenti, attività culturali , un management impeccabile in cui per anni è stato anche rappresentato il fior fiore della intellighenzia italiana, reclutato da quel sovrano illuminato che fu Adriano Olivetti. .E, sempre in questi giorni, leggo notizie sul non ancora chiarito coinvolgimento di Nichi Vendola con la questione dell ‘Ilva di Taranto… Tutti casi, insomma, in cui la preoccupazione per la salute dei lavoratori e dell’ambiente circostante sembra cozzare contro l’interesse per lo sviluppo industriale. Inutile dire che questo conflitto di valori, possiamo chiamarlo così, è anche l’emblema dalla condizione generale del mondo industrializzato in cui viviamo. Una condizione che non è tanto diversa da quella che viviamo anche sul piano dell’economia e della politica in generale: da quando si è affermata la tendenza ad affidare il governo ai “tecnici”, il conflitto di valori si riproduce a livello sempre più ampio: le “leggi dell’economia” sembrano spingerci in direzioni sempre meno accettabili per la concretezza della esistenza quotidiana in cui tutti viviamo.”
Una storia che si conclude con diverse sconfitte, prima tra tutte la morte del protagonista, ma il romanzo raggiunge il suo obiettivo, quello di creare una grande emozione e di riproporre un monito, quello che l’operaio scrisse pochi mesi prima di morire: “C’è grande solidarietà e anche la consapevolezza che il prioritario diritto alla salute non deve essere mai subordinato al profitto.”
La ricerca “scalza” di quella strana coppia è ancora viva. Il processo penale, finito in assoluzione, ha portato un modesto risarcimento alle vittime. Da qualche anno il Comune della città adriatica ha promosso una ricerca epidemiologica partecipata che studierà la popolazione esposta e gli operai presenti in fabbrica il 26 settembre 1976 ed impegnati nella bonifica. http://www.ambientesalutemanfredonia.it/
E ancora oggi, a quasi quarat’anni di distanza la bonifica deve essere ancora completata e l’arsenico nel suolo e nella falda è ben presente.
Giulio Di Luzio, La Fabbrica delle felicità – Romanzo Avvelenato, Prefazione di Gianni Vattimo, Stampa Alternativa, 2016