Il refrain ascoltato dai salentini xylettati è stato sempre l’eco di una campana a morto per i nostri ulivi, suonata da esperti e dirigenti regionali: “Non esiste cura al mondo per debellare il batterio xylella”; pertanto rassegnarsi a convivere e a subire. Ma questo non vale in parte per tutti i batteri, solo contrastati negli effetti dai farmaci, ma con la prospettiva di rafforzare la resistenza dei primi e indebolire le risposte dell’organismo? Tale convivenza, nostra e degli ulivi, con il batterio è resa meno critica grazie alle ricerche e sperimentazioni in atto, alcune avanzate e promettenti, ma di cui stranamente finora si è taciuto, da parte di chi ha solo cantato il de profundis per gli ulivi.
Da poco e tardivamente, nel Salento si è avviata la ricerca per un’ auspicabile terapia, finanziata con fondi pubblici e in minor parte privati: benvenuta. Ma essa si inserisce per ultima in un percorso gia da anni avviato a livello internazionale: le precedenti meritavano di essere valorizzate e indirizzate (almeno evocate) in relazione al disseccamento dell’ulivo. Perché ciò non è avvenuto dal 2013 ad oggi, pur essendo consolidate da anni? Ciò può essere solo in parte giustificato sul piano delle normative, delle varianti genetiche del batterio, della flora coinvolta, della sperimentazione non conclusa o non accompagnata da un fitofarmaco commercializzato. Sono solo attenuanti per un incomprensibile silenzio. E’ prevalsa la strategia allarmistica, la diagnosi, l’attivazione di proclami e piani in tandem con Roma o Bruxelles. Disattenzione verso le ricerche fitoterapeutiche, e ritrosia (segnalata) ad ascoltare e sperimentare terapie proposte anche da ricercatori accreditati. Come se la condanna a morte annunciata rendesse inutile ogni tentativo di contrasto al o ai patogeni dell’ulivo.
I nomi dei proff. R. Almeida e A. Purcell (eminenti studiosi californiani della Xylella) sono divenuti quasi familiari nel Salento. Ma quelli di A. De Suza, D.L. Hopkins, P.T. Lacava, S. Lindow: chi sono costoro? Eppure quasi tutti erano presenti nel Convegno dell’ottobre 2014 a Gallipoli , invitati dai ricercatori pugliesi. E tutti hanno qualcosa da dire su come contrastare la “strega” xylella. Ma terminato il convegno, le loro relazioni sono rimaste gelosamemente custodite nella memoria…. De Souza ha sperimentato con successo da anni la NAC-acetilcisteina (un mucolitico): assorbita attraverso le radici impedisce l’aggregazione membranosa dei batteri della xylella nei vasi degli agrumi, combattendo così gli effetti negativi della clorosi variegata di casa nel Brasile. Va realizzato un prodotto di più facile commercializzazione, va sperimentato sugli ulivi: ma finora nessuno ha mosso un dito in tale direzione.
Sempre sulla resistenza alla clorosi, Lindow ha sviluppato la strategie delle cellule mutanti per favorire la formazione di vescicole membranose nei batteri, sì da non farle aggregare e aderire ai vasi xilematici; ne deriva una confusione nel comportamento del batterio, se ne riduce la concentrazione nei vasi: “poco patogeno non è più patogeno”. Le molecole segnale per attivare il proceso sono già presenti sul mercato. La ricerca sull’inoculazione del ceppo benigno di x.f., isolato dal sambuco asintomatico, su vitigni cabernet ha dato risultati soddisfacenti, secondo Hopkins: nel 2014 in California si sono riscontrati esiti positivi nell’uso di fagi in grado di attaccare il batterio x., sperimentando così sul campo (il primo campo minato da xylella), ricerche avviate in Texas nel 2006. Molti ulivi sono asintomatici al batterio Xylella: è in atto una sperimentazione analoga a quella di Hopkins?
Infine Lacava ha utilizzato il bacterium endofita flaccumfaciens per competere con quello della x.f., riducendone o azzerandone i sintomi nel catarantus roseus. Vi sono criticità e difficoltà da superare, ricerche ancora da completare, normative contrastanti: ma perché queste prospettive sono state sistematicamente ignorate dagli studiosi e dirigenti nelle decine di incontri pubblici svoltisi sul territorio? Perché, conoscendone gli studi, non sono stati chiamati, già dal 2013, i loro autori intorno a un tavolo, o ad un ulivo in disseccamento nel Salento? Se i santoni locali vengono demonizzati o osteggiati (eppure cercano risposte empiriche a problemi angoscianti e ufficialmente insolubili , talvolta con risultati da controllare e valorizzare, ma non da screditare), i predetti “santoni” internazionali della scienza ufficiale vengono ignorati! Lo stato di emergenza deve solo limitare diritti, trasparenza, democrazia, norme; o non dovrebbe anche attivare percorsi di ricerca e sperimentazione, magari forzando o derogando a criteri e ostacoli burocratici?
Ugualmente ad un’altra domanda finora è stato difficile dare una condivisibile o accettabile risposta. Perché solo nell’ott. 2013 si è intuito il killer Xylella, avviandone la caccia, quando ben tre anni prima la si era studiata a Bari (forse in relazione alla vite), proprio nella prospettiva di una malaugurata comparsa, ma ritenuta possibile, nella nostra regione? Profezia autoavverantesi! Non si avevano già dal 2009-10 le segnalazioni sul disseccamento in atto a Gallipoli, che in qualche modo avranno coinvolto (o avrebbero dovuto farlo) servizi fitosanitari e istituti di ricerca di Bari? Le risultanze e le argomentazioni di un workshop e di un convegno possono essere ignorate, o non applicate per affrontare le criticità del territorio da loro tematizzate? Sempre che la xylella sia “la cattiva strega” dei nostri ulivi, e non il capro espiatorio rispetto ad altre patologie e ad altri scenari e interessi!