Camara Fantamadi: morire di caldo

Qualche giorno fa un giovane immigrato dal Mali, Camara Fantamadi, è morto tornando a casa dopo un malore seguito al lavoro nei campi in una giornata torrida di questo giugno. Sulle prima il magistrato di turno ha riconsegnato la salma alla famiglia ritendendo l’accaduto privo di rilevanza penale. Abbiamo appreso qualche giorno dopo che è stata aperta una inchiesta. In effetti sarebbe stato bene ordinare una autopsia per escludere che il giovane bracciante avesse una patologia che giustificasse da sola la sua morte. Improbabile, ma davanti ad una accusa di omicidio colposo le difese le proverebbero tutte. Il problema di Camara è che è nero, straniero e povero. Ora che la comunità africana a Brindisi ha raccolto ventimila euro per il rimpatrio della salma, forse il denaro eccedente potrebbe essere utilizzato per una dignitosa difesa legale della famiglia.

Il giorno dopo la morte di Camara il sindaco di Brindisi e il giorno ancora seguente il presidente della Regione Puglia vietavano il lavoro agricolo in condizioni di esposizione prolungata al sole, dalle ore 12.00 alle 16.00 il primo e 12.30 alle ore 16 il secondo, fino al 31 agosto 2021. Qualche settimana prima il sindaco di Nardò aveva emesso un divieto simile. Ordinanze che difficilmente verranno eseguite senza controlli adeguati.

Non solo Camara Fantamdi: le drammatiche condizioni del lavoro in agricoltura in Puglia

Dopo questo episodio mortale sono stati ricordati quelli analoghi di Paola Clemente, 49 anni, e Abdullah Mohamed, 47 anni, morti nel 2015 in circostanze analoghe. La prima il 13 giugno, in un vigneto di Andria. Il secondo il 20 luglio, nelle campagne intorno a Nardò, mentre raccoglieva pomodori. 

Senza voler rivolgere accuse generalizzate alla categoria degli imprenditori agricoli che ha subito in questi ultimi decenni molte disattenzioni, non bisogna dimenticare che in agricoltura in Puglia sono venuti alla luce negli ultimi anni fatti che denotano una grave debolezza dei controlli.

Un giovane cingalese di 24 anni tenuto in stato di schiavitù è stato scoperto in una azienda agricola di Casamassima nell’agosto 2019, percepiva 1,8 euro all’ora, senza festivi e riposi per 11 ore al giorno e viveva in un alloggio di fortuna senza servizi igienici.

Un giovane pastore 20enne, ridotto in schiavitù, costretto a lavorare e vivere all’interno di una masseria vicino Brindisi in condizioni disumane, dormire su un giaciglio, per una paga mensile di 650 euro, circa 1,5 euro all’ora per più di 13/14 ore al giorno, dalle 5 di mattina, senza riposo settimanale, ferie, diritti. Nell’agosto sempre 2019 un gruppo di 20 braccianti agricoli della provincia di Brindisi, composto soprattutto da donne di Oria ed Erchie, è rimasto intossicato mentre operava tra i tendoni in un vigneto nelle campagne di Turi, nel Barese. I lavoratori avrebbero inalato esalazioni chimiche, emissioni accentuate dalle alte temperature. Nel settembre 2019 a Francavilla Fontana in una società, che si occupa della raccolta di uva da vino e da tavola, è stata accertata la presenza di complessivi sette lavoratori subordinati, braccianti agricoli sprovvisti di idonei dispositivi di protezione individuale, adeguata formazione in materia di sicurezza sul lavoro e di idonea sorveglianza sanitaria.

Andare oltre all’atteggiamento del “giorno dopo”. Una proposta operativa

Forse la Regione Puglia deve mutare l’attuale atteggiamento del “giorno dopo”. Due anni fa proponevamo inascoltati di fare qualcosa di simile a quanto nel 2013 fece la Regione Toscana dopo, anche lì, una strage di 9 operai nel tessile di Prato, ma almeno ebbe una reazione organizzativa con qualche risultato:

  • organizzare una équipe regionale di 30 operatori (5 per provincia) più un congruo numero di mediatori culturali, che abbiano come programma ed obiettivo il monitoraggio delle situazioni di rischio esistenti e “disperse” nel territorio, in agricoltura ed in altri comparti (edilizia, fuochi artificiali o altro). Il primo atto potrebbe essere la convocazione di udienze conoscitive territoriali a partire dai siti più problematici; ulteriori situazioni di rischio sono più stabili e facili da identificare e dunque possono e devono essere ricondotte alla azione ordinaria dei servizi ispettivi territoriali della medicina del lavoro delle Asl;
  • la équipe regionale, articolata in sottogruppi provinciali, dovrebbe avere questi compiti: a) in primis, come già detto, la organizzazione di incontri conoscitivi con lavoratori, sindacati, imprenditori e associazioni di immigrati; b) disegnare una mappa del rischio territoriale – a cominciare alla agricoltura, edilizia, trasporti, produzione e deposito di fuochi artificiali; c) individuazione di priorità di interventi organizzati sia con azioni di informazione e  divulgazione (nei primi 12 mesi del progetto, in questa fase gli operatori non dovrebbero rivestire il ruolo di ufficiali di polizia giudiziaria), sia, in rapida successione, con azioni ispettive (in questa fase è necessario che tutti gli operatori siano investiti del ruolo di ufficiali di polizia giudiziaria); d) l’azione dovrà vertere su: analisi del rischio infortunistico (mezzi motorizzati, attrezzature manuali, vestiario, scale, reti, ecc.) e del rischio sanitario (alimentazione, ddppii, vestiario, condizioni di alloggio); valutazione della idoneità al lavoro con contestuale verifica della idoneità e/o della necessità di aggiornamento degli attuali protocolli di idoneità sanitaria;  supporto al ricollocamento lavorativo per i lavoratori risultati non idonei; valutazione delle condizioni di distress anche ai sensi dell’art.28 del decreto 81/2008 con particolare attenzione dunque alle differenze di genere, di età e di cultura.

Torniamo qui a formulare la nostra proposta.

La redazione di Salute Pubblica

Brindisi, 4 luglio 2021