Oggi è un anno che Vittorio Arrigoni è stato ucciso.

Vittorio era un difensore della vita, della salute e della dignità del Popolo Palestinese, che da decenni simboleggia in modo tragico i popoli e le persone oppresse sistematicamente.

Non si sa ancora chi (a tutti i livelli) e perché lo abbia assassinato.

Il processo per l’individuazione e la punizione dei colpevoli della sua morte sta marcendo tra un rinvio e l’altro, tra testi che non si presentano senza giustificazione e avvocati difensori (d’ufficio) degli imputati che dichiarano di “non aver studiato il caso”.

Tutto ciò senza che il governo italiano abbia aperto bocca per chiedere formalmente conto delle ragioni dell’omicidio, all’estero, di un proprio cittadino.

Ma, soprattutto, senza che lo abbia fatto quel capo dello Stato che, pure, si è distinto per l’attenzione e l’empatia riservata all’Italia migliore, quella che si fa onore all’estero per l’appunto.

Dai latitanti ad Hammamet, di cui il garante della Costituzione celebrava “l’impronta non cancellabile” lasciata “nella vita del nostro Stato democratico” (assolutamente rilevabile anche ad occhio nudo, peraltro), agli imputati di omicidio di pescatori indiani, cui faceva pervenire il “cordialissimo saluto, appoggio e sostegno del presidente della Repubblica”.

Vittorio Arrigoni, con la forza immensa dei suoi ideali, esortava a “restare umani”.

Ma, in questo Paese, come sempre, la prima emergenza è quella di diventare decenti.

Fasano, 15\4\2012