Mentre anche da noi continuano ad essere replicate le evidenze scientifiche già rilevate in altre parti del mondo, per le quali man mano che ci si avvicina al carbone ed al petrolchimico aumentano una serie di patologie nella popolazione, al contrario non si sente parlare di misure concrete per ridurre le emissioni di polveri e sostanze pericolose. Al contrario si annunciano installazioni di nuovi impianti e reimpieghi di antichi col risultato di incrementare i rischi.

Purtroppo il tema della prevenzione del cancro e delle malattie croniche si presta a frequenti fraintendimenti. Si scambia  la diagnosi precoce con la prevenzione, sottoporsi a miriadi di esami per scoprire le malattie il più precocemente possibile è la parola d’ordine degli erogatori di prestazioni sanitarie. Ma della vera prevenzione, la prevenzione primaria, nessuno parla, forse perchè non crea profitto per i detentori del potere economico anche se rimane l’unica arma capace di ridurre l’insorgere delle malattie ambientali. Dove l’hanno applicata, come in Svezia, negli anni ’70, bandendo l’uso di alcuni pesticidi, i risultati si vedono: sono diminuiti i linfomi e i sarcomi.

La vera soluzione e forse l’unica efficace per il momento rimane quella di allontanare dall’uomo le sostanze in grado di provocare cancro e non solo!

Recentemente abbiamo appreso che l’Amministrazione Provinciale di Brindisi ha intenzione di stabilire nella Cittadella della Ricerca una biobanca, qualcosa, ha dichiarato il suo Presidente, rispetto alla quale “l’epidemiologia è nulla, qui si potrà conoscere il “come” ed il “perchè”, si tratta di un progetto che va 100 volte oltre!”

Sempre il Presidente ha affermato che “con il registro tumori conosciamo il “dove” e il “quando” ma solo con la biobanca potremo finalmente sapere il “come” e il “perchè””.

A questo riguardo sorge una prima considerazione. Se come egli stesso dice, Ferrarese già conosce “dove” e “quando” compaiono certe malattie ambientali, non ci sono più alibi per non mettere in atto ciò che è in suo potere di fare sulla base delle conoscenze esistenti. Altrimenti potrebbe trovarsi, come i suoi colleghi di Taranto a detta del Procuratore della Repubblica di quella città, in una posizione quanto meno censurabile sul piano morale e politico, trascurando altri profili che potrebbero emergere  in caso si dimostrasse che quelle malattie potevano essere evitate con misure amministrative. Che egli voglia conoscere il “come” ed il “perchè” è una condivisibile curiosità scientifica che non esime dall’agire però sulla base di ciò che già si sà.

Cionondimeno, incuriosito dalla proposta, sono andato a vedere come funziona, laddove esiste già dal 2006, una biobanca correlata con le malattie ambientali e cioè in Sardegna, accanto ad una delle raffinerie tra le più grandi in Europa. Lì la biobanca è stata creata con  lo scopo di monitorare  eventuali situazioni di rischio per la salute dei propri abitanti e fornire supporto ad appropriate misure.

In quella realtà si erano prima svolti degli studi epidemiologici che avevano evidenziato una maggiore frequenza di alcune malattie nella popolazione  e si era avvertita la necessità di alcuni interventi per ridurre il livello di inquinamento riscontrato. Si cominciò pertanto a considerare l’ipotesi di prelevare tessuti biologici dai residenti e conservarli in modo da poterli utilizzare in futuro. Con gli studi di biomonitoraggio già oggi si può determinare la concentrazione di sostanze nocive  e i meccanismi attraverso i quali esse esplicano la loro azione sull’organismo. La possibilità di eseguire misurazioni ripetute nel tempo permette di valutare dinamicamente  come l’organismo risponde alle sostanze tossiche, la loro eventuale persistenza ed eliminazione, la reversibilità delle modificazioni biologiche precoci ed in alcuni casi dei danni come quelli genetici. Inoltre, dato il rapido sviluppo delle conoscenze e delle tecnologie nel settore, è possibile che in futuro si potranno effettuare sul materiale biologico conservato  analisi che oggi non sono disponibili o addirittura neppure ipotizzabili.  Lo scopo della biobanca sarda è quello di monitorare gli effetti di un’azione di riduzione dell’inquinamento e non essere una alternativa agli studi epidemiologici e tanto meno un modo per rinviare sine die interventi di contrasto dello stesso.

Ma c’è di più. E cioè che anche rispetto alla biobanca ci possono essere differenti approcci politici. Può essere un forziere (una “biobanca” appunto) in cui i cittadini che lo vorranno depositano volontariamente i loro materiali biologici ma il loro utilizzo e le conseguenti ricerche rimangono affare dei politici, dei tecnici e delle aziende chiamate a finanziare. Oppure un contenitore in cui i cittadini depositari sono anche coinvolti nelle decisioni sulle ricerche da svolgere e nell’assicurare  l’aderenza dell’iniziativa alla finalità esplicita di contribuire alla tutela della salute individuale e collettiva, prestando particolare attenzione ai fattori ambientali. Ecco perchè in Sardegna hanno costituito una Fondazione che prevede la costituzione di comitati tecnici ed attività di informazione e formazione che favoriscano la partecipazione della cittadinanza ai processi decisionali in materia di salute ed ambiente. Per queste ragioni in quella esperienza si è deciso significativamente di usare il termine “bioteca” e non “biobanca”.

Ben venga allora la bioteca con la partecipazione dei cittadini piuttosto che la biobanca, perchè ogni iniziativa che sviluppi la ricerca biomedica nella nostra città è sempre benvenuta. A patto che si tratti di un’iniziativa a beneficio della salute, con la partecipazione dei cittadini, e che non esima dal fare subito ciò che le conoscenze attuali già obbligano a fare.

La bioteca ci aiuterà a capire nel tempo quanto questi interventi di contrasto siano stati davvero efficaci.

A differenza di Ferrarese credo però che anche il “dove”  e “quando” abbiano bisogno di qualche limatura. Se  infatti si vuole capire quali settori della popolazione siano più a rischio, non c’è che da eseguire quello che ha suggerito per la nostra città l’Istituto Superiore di Sanità, organismo tecnico governativo: indagine epidemiologica su aree subcomunali, sulle popolazioni lavorative,  biomonitoraggio su chi vive più vicino alle fonti di rischio. Ecco richiamata dal principale organo tecnico-scientifico del Servizio Sanitario Nazionale  la biobanca o meglio la bioteca. Una delle cose fare. Ma si deve sempre partire dall’epidemiologia classica e soprattutto non si può rimandare la riduzione dell’inquinamento.

Maurizio Portaluri