Un libro sulla spiritualità e la cura, anzi, come dice il sottotitolo, sulla dimensione spirituale della cura, è l’ultimo saggio di Sandro Spinsanti, bioeticista di lungo corso, che in questo saggio affronta la relazione tra la dimensione tecnica e quella spirituale della cura medica: “Sulla terra in punta di piedi” Il Pensiero Scientifico Editore, 2021, pp 305, € 24.00. Un tema certo non nuovo alla trattazione bioetica ma neppure per il disinteresse e lo scetticismo con cui viene accolto da quanti ritengono che la medicina e la scienza debbano dedicarsi alla guarigione della malattia e basta, alla maniera del dr. House per la precisione.

In questa fatica Spinsanti si fa accompagnare da Dagmar Rinnenburgher, pneumologa e autrice di recente di un saggio molto interessante sulla metamorfosi della medicina contemporanea (recensito anche in questa rivista) che dovrà cimentarsi sempre di più con la cronicità e con la “salute sufficiente”.

La prima parte del libro (Le strade che possono portare dove non vorremmo) si compone di tre capitoli dove si affronta il tema dei “professionisti” della spiritualità e dei cambiamenti che si sono verificati nel tempo, il ruolo della religione e dei suoi ministri, ma anche dei medici. Un capitolo, curato da Dagmar Rinnenburger è dedicato alle tecniche di meditazione. In “Le sofferenze ingiustificate in nome dell’etica” si mette in guardia da come il richiamo etico possa trascinarsi dietro l’assenza di rispetto per le posizioni altrui e come la spiritualità possa essere oppressiva e non liberante.

La seconda parte (Intersezioni di percorso) presenta in sei capitoli come la spiritualità incrocia la religione, la psicologia, l’arte, l’ecologia, il cibo e gli animali. L’incrocio con la religione approfondisce il tema della guarigione in rapporto alla salvezza. “La laicità fa bene alla religione” perché “la fede non mette il credente al riparo dalle incertezze… la vertigine del sacro è necessariamente frenata dall’opacità della storia”. Nell’incrocio con l’arte si affronta la relazione tra la medicina e le medical humanities. Numerose sono le citazioni come quella di Tiziano Terzani con la sua critica all’interesse delle terapie per il suo corpo ma non per la sua persona: “Quel che veniva attaccato era il cancro, un cancro ben descritto nei manuali, con le sue statistiche di incidenza e di sopravvivenza, il cancro che può essere di tutti. Ma non era il mio!”. “L’obiettivo delle medical humanities è di non escludere dall’orizzonte le domande che non possono essere poste utilizzando il paradigma delle scienze della natura, il loro scopo è quello di tenere insieme i diversi sguardi senza negare la rilevanza di ognuno, nella sua irriducibilità”. Si parla inoltre del “Curarsi con i libri” o dell’associazione “Donatori di musica”. L’incrocio con l’ecologia si apre con una critica al cristianesimo ed al suo antropocentrismo, in parte superato da Francesco d’Assisi e da Benedetto da Norcia. L’etica ha bisogno di rivedere alcuni miti come quello del progresso. Si deve mettere un limite all’appagamento dei bisogni primari per passare al “livello superiore”, ai bisogni propriamente umani, la gratuità, la condivisione, il bisogno della festa che la studiosa Donatella Di Cesare “intravede nei movimenti di rivolta che nascono dai soggetti marginali”. La spiritualità si inserisce nella soddisfazione dei bisogni più propri dell’uomo: “il bisogno di amare senza ipocrisia; il bisogno di essere libero (dai beni di consumo ndr); il bisogno di creare…; il bisogno di contemplare”.

Il capitolo sul cibo (L’incontro con il nutrimento: alimentare il corpo, nutrire lo spirito): le religioni hanno curato molto il comportamento alimentare. Il cristianesimo tra le religioni monoteistiche è quella che lo ha trascurato maggiormente negli ultimi decenni. Il rapporto col cibo invece è intriso di spiritualità sia perché include il rapporto con gli altri animali e la natura, sia perché richiama la realtà della sazietà, dell’avere abbastanza. Il capitolo non tralascia di trattare il rapporto tra il cibo e la fine della vita, la sazietà di giorni e la sazietà di cibo con le sue implicazioni su idratazione e alimentazione dei morenti.

La terza parte riguarda “Spiritualità e medicina” e si compone di 5 capitoli. Nel primo “Che cosa ci aspettiamo dalla cura?” si analizza la malattia acuta, che consente la restitutio ad integrum, la “salute sufficiente” nelle malattie croniche che stanno diventando il modello più ricorrente di patologia considerato l’invecchiamento della popolazione e, infine, la “Grande salute”, quella sorta di autorealizzazione che utilizza la malattia, sia essa uno stato reversibile o un nuovo stato che ci accompagnerà per sempre o forse per poco tempo ancora, che può farci diventare migliori (ma a volte anche peggiori): “guarire non si coniuga solo con il sopravvivere, ma anche con il ‘super-vivere’“ Ci troviamo in un altro campo, “siamo ai confini della medicina, nel terreno delle decisioni che fanno la grandezza o la miseria morale di una persona”.

Ne “Il buon uso dei luoghi di cura” si prendono in rassegna l’ospedale, la casa, le residenze sanitarie e gli hospice con le loro modificazioni nel tempo e nel corso della pandemia.

Un altro tema che interpella la spiritualità – quello del capitolo “Che cosa può fare la spiritualità contro la ‘dis-umanizzazione’ in medicina” – è l’umanizzazione della medicina con tutte le sue ambiguità come la necessità stessa che si ponga come tema che dovrebbe essere estraneo ad una attività per sua natura orientata alla cura ed all’aiuto dell’uomo sofferente. E invece è molto necessario ristabilire i termini di questo rapporto a rischio di fraintendimenti.

Un capitolo è dedicato alle esperienze di pre-morte o peri-morte che hanno ripercussioni sulle credenze delle persone che le vivono e che richiedono una speciale preparazione da parte dei curanti. Il libro si chiude con “La spiritualità dell’ultimo tratto di strada”, un tema molto “battuto” dalla bioetica e generatore di contrasti anche insanabili, ma un tempo ineludibile della vita umana che i curanti non sono sempre preparati a gestire.

Uno saggio che potrebbe benissimo essere considerato un trattato sulle più recenti evidenze in tema di bioetica, con le sue 263 note tra cui numerosissimi richiami a saggi, romanzi e film sui vari argomenti. Lo stile della trattazione è tutto nel titolo, in quel “in punta di piedi” che racchiude la voglia di elevarsi, ma senza volare via, rimanendo attaccati alla terra senza però calpestarla.

Maurizio Portaluri

3 giugno 2021