Abbiamo appreso dalla stampa locale che, con riferimento all’annosa questione della bonifica del sito Micorosa, il Consiglio di Stato, con sentenza n. 3535/2021 di accoglimento dell’appello proposto dal Comune di Brindisi, ha statuito che gli interventi di riparazione, messa in sicurezza, bonifica e ripristino debbano gravare sul responsabile della contaminazione, cioè sul soggetto al quale sia imputabile, almeno sotto il profilo oggettivo, l’inquinamento.

Il Consiglio di Stato ha ritenuto corretta l’individuazione della Enichem, quale responsabile dell’inquinamento perché “proprietaria” dei rifiuti abbancati sul sito, riconducibili all’attività del Gruppo societario dal quale è derivata senza soluzione di continuità, ed ha pure stabilito che tale responsabilità grava anche su tutti i soggetti subentrati ad Enichem e cioè su Syndial S.p.A. e sui suoi successori.

Nell’augurarci che alla coraggiosa pronuncia del Consiglio di Stato facciano seguito i doverosi provvedimenti delle Amministrazioni competenti finalizzati ad ottenere la esecuzione degli interventi di riparazione, messa in sicurezza, bonifica e ripristino da parte dei responsabili dell’inquinamento e dei loro successori, non si può nascondere l’amarezza nel dover constatare che ci sono voluti quasi 40 anni per vedere affermato un principio di lapalissiana evidenza e cioè che chi inquina deve pagare.

Dalla sentenza si apprende che dalla nascita del petrolchimico nel 1960 un vasto terreno di 50 ettari vicino al mare e a un’area di interesse naturalistico è stato utilizzato per sversare fanghi provenienti dalla produzione di acetilene da carburo, contenti sostanze inquinanti e pericolose per la salute umana e naturale.

In tanti anni non ci risulta che le autorità amministrative e giudiziarie siano intervenute a fermare lo scempio e questo, se confermato, ci sembrerebbe incredibile. Inerzia che perdurerebbe tuttora essendo rimasti finora impuniti i responsabili dell’inquinamento e presumibilmente dei gravi danni alla salute individuati dallo studio epidemiologico Forastiere.

La vicenda del Petrolchimico è imbarazzante  anche alla luce delle ventisei condanne, per un totale di 299 anni di reclusione, decretate dalla Corte di Assise di Taranto nel processo a carico degli ex proprietari ed amministratori dell’ILVA di Taranto e di numerosi altri soggetti coinvolti a vario titolo, riguardante principalmente il reato di disastro ambientale causato dalle emissioni industriali di sostanze inquinanti e nocive, indicate come responsabili dei livelli inquietanti di malattie oncologiche, respiratorie e cardiovascolari registrati nel capoluogo jonico.

La differenza tra Taranto e Brindisi è che mentre nel capoluogo jonico sono state individuate nel giudizio penale di primo grado le responsabilità per le malattie causate dall’inquinamento industriale, a Brindisi, dove gli effetti sanitari sono stati rilevati con la stessa metodologia utilizzata a Taranto –  il cosiddetto “studio Forastiere” – non è stata accertata nessuna responsabilità. In altri termini, le vittime del petrolchimico, per riprendere il nome di un movimento attivo a Brindisi all’inizio degli anni 2000, e quelle delle emissioni degli insediamenti energetici, non hanno avuto la medesima attenzione giudiziale di quelle di Taranto.

Ce lo ha ricordato nei mesi scorsi un gruppo di ammalati di malattie tumorali ematologiche e i congiunti di persone decedute per analoghe patologie che nel 2014 depositarono un esposto alla Procura della Repubblica anticipando di qualche anno quanto lo “studio Forastiere” avrebbe sancito con robusti argomenti scientifici. Un articolato esposto in cui chiedevano che fosse fatta luce sulle eventuali responsabilità penali per l’insorgenza di dette malattie. Nel 2017 l’esposto veniva integrato con le ulteriori evidenze scientifiche emerse dallo “studio Forastiere” il quale attribuiva alle emissioni industriali   del polo brindisino un certo numero di decessi e di malattie sul totale riscontrato nell’area composta da 7 comuni dal 2002 al 2013: ogni anno 8 morti per tumori su un totale di 380 e 4 morti per malattie respiratorie su un totale di 114 non si sarebbero verificate senza le polveri sottili delle centrali (PM10). Inoltre, 7 su 380 decessi per tumori non si sarebbero verificati senza le emissioni del polo chimico. Su 36 nuovi casi annui di tumore al polmone, 6 non si sarebbero verificati senza le emissioni di SO2 delle centrali elettriche. Su 17 malformazioni neonatali annue, 2 non si sarebbero verificate senza le emissioni del petrolchimico.

Senza voler sostenere per Brindisi una “via giudiziaria” alla salute, ma solo giustizia per le vittime, il motivo che ha accompagnato gli ultimi decenni di politiche ambientali e sanitarie è stato quello che a Brindisi non vi fossero criticità per la salute. Neppure dopo quanto è emerso da solidi indagini scientifiche si è osservata una inversione di rotta per dotare la provincia di quel di più di strutture di diagnosi cura e prevenzione che le maggiori patologie riscontrate avrebbero richiesto.

Chiediamo che questi temi siano oggetto di dibattito e di decisione nella sempre annunciata e non ancora convocata Assemblea della Salute del Comune di Brindisi e nella Consulta delle associazioni ambientaliste, convocata una sola volta, della provincia di Brindisi. Chiediamo altresì che i Comuni coinvolti nello “studio Forastiere” chiedano alla Regione l’aggiornamento della stessa indagine ad anni più recenti e che si effettui finalmente lo studio di coorte dei lavoratori del Petrolchimico, in possesso dell’ARESS, per dare sostegno scientifico alle azioni di ristoro delle famiglie delle vittime.

FORUM AMBIENTE SALUTE E SVILUPPO 

11 giugno 2021