Dieci anni di Sanità in Puglia

Un discorso politico senza urgenze elettorali

19 maggio 2011 Brindisi

Maurizio Portaluri

Abbiamo scelto questo titolo perché quando si parla di sanità al di fuori di un contesto scientifico si viene assaliti subito dal sospetto che si voglia denigrare chi governa e si voglia favorire chi si oppone in quel momento. Ciò perché la sanità è uno dei settori dove il confine tra la politica e la gestione è stato infranto da tempo e le regole della politica non sono quasi mai quelle della buona gestione. Ma questo è un discorso molto ampio. Noi qui vogliamo fare un discorso politico nel senso originario del termine, cioè dalla parte dei cittadini, soprattutto quelli che non contano niente, cercando di dare elementi di conoscenza per poter incidere, chiedere conto, pretendere ciò che spetta.

 Perché dieci anni di sanità?

Con una estrema semplificazione, dopo l’introduzione in Italia del servizio sanitario pubblico universalistico, gli anni ’80 furono caratterizzati dai Comitati di gestione, una gestione affidata alle comunità locali; gli anni ’90 dalla costituzione della Aziende Sanitarie. Gli anni 2000 sono gli anni della fine del ripiano del deficit sanitario regionale da parte dei governi centrali. Dal 2001 ogni regione si paga il suo deficit. Per questo nel 2002 il governo regionale di centro destra fu costretto a chiudere quasi 100 reparti ospedalieri e a ancor prima a bloccare acquisiti e assunzioni. Realizzando così un rientro dal deficit, ma azzoppando ancor di più una sanità largamente arretrata rispetto al Nord del paese. La giunta di centro sinistra insediatasi nel 2005 riprende ad assumere e toglie i precedenti blocchi sugli acquisiti di beni e servizi ed il ticket sui farmaci. Si propone di riaprire i reparti chiusi dal precedente governo e nel contempo vuole territorializzare l’assistenza, potenziare il territorio, cioè le forme di assistenza al di fuori dell’ospedale. In questi anni il fondo sanitario regionale passa de 5 miliardi a 7 miliardi e ciò nonostante si matura un deficit di quasi 2 miliardi. Il resto è storia di questi mesi. La Regione è costretta a chiudere posti letto e a licenziare personale. La sua politica in questi anni è stata ondivaga: riapriamo i reparti ma potenziamo il territorio, azzeriamo le liste di attesa. Alla fine si chiudono gli ospedali, il territorio è sempre carente, i tempi di attesa sono lunghi come mai. Il tutto mentre sia le regole del piano di rientro che le conseguenze delle pronunce di incostituzionalità sulle stabilizzazioni hanno già avviato l’espulsione di migliaia di lavoratori della sanità. Disastro sociale che si sarebbe potuto evitare semplicemente espletando concorsi pubblici.

Allora un diverso governo della sanità?

Come il governo di centro destra alla fine del suo mandato, così anche il governo di centro sinistra viene investito da scandali giudiziari. Emerge chiaramente l’esistenza di un sottobosco sanitario-amministrativo, collegato con alcuni settori della politica e dell’industria, che si muove contro gli interessi collettivi del risparmio e dell’efficienza. Il mondo politico non direttamente coinvolto mostra incapacità a ridurre questo sistema alla legalità, dichiara la propria impotenza, invoca come unico rimedio la repressione giudiziaria. Emblematiche sono le parole di Vendola nel suo interrogatorio da parte del PM Digeronimo il 6 luglio 2009:

“Io davanti agli occhi miei ad un certo punto con più chiarezza la politica, il sistema di impresa, le corporazioni mediche, le società scientifiche, l’industria farmaceutica, una parte dei sindacati, qualche volta in qualche A.S.L. persino tutti i sindacati, cioè una palude, una commistione di interessi di vario genere che mi hanno fatto usare la metafora del casinò, cioè il luogo in cui circolano….. più denari di qualunque luogo della pubblica amministrazione ed è organizzato come un casinò, dalle slot-machine all’ingresso, che possono essere la spesa corrente per le infermerie, per l’acquisto dei cerotti, per l’acquisto di non so che cosa, fino alla roulette o al black jack, che sono gli

appalti per i grandi macchinari, per cose di questo genere……..Cioè è frutto di una acquisizione, non so se è chiaro, io non ho questa conoscenza … Io so che la sanità è un grande bubbone, fine della storia. Quello che scopro duramente è che nessuno ha una conoscenza critica, approfondita della Sanità, e che anche il Centro Sinistra, la mia coalizione, che aveva fatto la battaglia contro il piano di riordino del mio predecessore, in realtà non aveva, non c’è l’ha la conoscenza, perché non è utile la conoscenza. La conoscenza del sistema sanitario è pericolosa, perché invece il sistema sanitario così come è, a ciascuno può offrire degli spazi di entratura, questo è il trasversalismo degli

affari che domina il mondo della sanità, e per questo io non posso che o auspicare che le

indagini scoprano i reati specifici e colpiscano le persone che sbagliano, o, per quella che è la

mia responsabilità, provare a capire a quale chiodo attacco il compito di cominciare un

cambiamento.”

Il tentativo da parte della politica di governo sembra quello di smarcarsi, dire che in fondo su questi settori deviati, corrotti, lei non ci può fare niente. A riguardo è eloquente un recente articolo del Prof Fistetti, docente universitario e consigliere provinciale a Brindisi, molto vicino al partito del Presidente Vendola (Quotidiano 5.5.2011) “Siamo indotti a credere che le distorsioni, gli sprechi, le malversazioni che hanno luogo nella sanità pubblica siano da addebitare unicamente a chi in quel momento ha la responsabilità di governo… La sanità è una di quelle sfere della società in cui prende corpo e si esercita …(il) “potere invisibile” (di Bobbiana memoria, ndr)….Su questo terreno la distinzione destra/sinistra viene meno non solo per le complicità affaristiche che si determinano…ma soprattutto perché qui il potere non funziona secondo il potere dell’alternanza…funziona invece per sovrapposizione in modo che chi era prima continua ad avere il suo spicchio di potere, la sua quota decisionale, i suoi margini di manovra…Il Manager è costretto a mediare tra questo puzzle di infiniti micropoteri, a tessere come il ragno una tela che sia in grado di tenere dentro tutti: maggioranza e opposizione, politici e tecnici, medici e infermieri, amministrativi e ausiliari, potentissimi sindacati di categoria e, quando ci sono, associazioni di tutela degli utenti…Ora chi opera in questo sistema ha buon gioco nell’addossare tutte le colpe al ceto politico perché in questo modo si oscura la complessità dei problemi e soprattutto viene calato il sipario sulle responsabilità degli operatori della salute… Al contrario si vede bene come la questione morale riguardi il sistema sanitario nel suo complesso… che cosa pensare di quei medici che trattengono per sé la quota dovuta all’amministrazione o che …. allungano le liste di attesa per indirizzare i pazienti nei loro studi privati… Le istituzioni pubbliche sono utilizzate da parte di molti operatori sanitari come mezzo di autovalorizzazione professionale e arricchimento privato”

 Questa l’analisi. E la terapia?

Ci soccorre ancora il citato interrogatorio di Vendola:

“…io credo che l’organicità del Piano della Salute, le idee chiare, nette, l’area materno infantile, il polo della rete oncologico, la salute delle donne, io avevo questa sensazione che, mentre nessuno obiettava sul lessico così avanzato, così maturo culturalmente, però quello che potesse… (Non sto parlando di una cosa in cui ho cognizione scientifica, ma a naso, ) in qualche maniera aprire la strada della messa in discussione degli interessi consolidati, sedimentati, occultati in mille rivoli nella sanità, era avere un impianto organico di nuova sanità, questo è il punto, perché l’impianto organico alla fine ci avrebbe portato a ragionamenti che riguardavano… Abbiamo cominciato a parlarne con il Dottor FIORE da subito, alla centralizzazione delle aree di spesa e dei flussi di spesa, perché poi io su questo argomento non ho il conforto di una conoscenza…”

 In sostanza sembra di poter dire che settori sanitario-burocratici del Servizio Sanitario sono deviati, il Sistema Politico cerca di ridisegnare l’architettura, ma il funzionamento del Sistema procede sempre a prescindere degli interessi degli utenti finanziatori.

Cosa possiamo dire oggi?

Disegnare o progettare un servizio sanitario pubblico sulla carta non basta per farlo funzionare bene. Se non si individuano e si contrastano gli interessi interni ed esterni che confliggono con gli interessi dei cittadini, non è possibile ottenere un servizio ma solo un sistema.

Non basta neppure militarizzare le ASL, come propone demagogicamente la destra.

La politica può fare molto come per esempio obbligare le professioni a rendicontare la propria attività, sarebbe bastato questo per contrastare l’assenteismo e i tempi di attesa.

Non siamo qui per dare consigli tecnici, per questo ci sono i tecnici, ma sostenere una visione, una cultura della salute che ci sembra ancora abbia difficoltà ad emergere. Per ribadire alcuni principi guida che sembrano scomparsi dall’orizzonte del dibattito politico.

Il primo è che il servizio sanitario non è un bubbone ma è un bene comune, come l’acqua, è dei cittadini in quanto finanziatori e quindi deve essere pubblico, il che non significa sempre gratuito , ma accessibile soprattutto ai più poveri. Se i rappresentanti politici, delegati alla custodia di questo bene comune, sono i primi a non credere che si possa, si debba orientarlo verso l’interesse dei cittadini più bisognosi, allora siamo di fronte ad un’impresa tutta in salita. Il “mantra” che il pubblico non funziona, che è fonte di sprechi, che è meglio il privato si diffonde ad opera degli stessi suoi custodi, magari non con parole ma con atti concreti di disattenzione, di omissione, di tolleranza dell’intollerabile, di rinuncia alla difesa dell’immagine di strutture e operatori (pensate ai titoli della Gazzetta “Perrino lager, gigante dai piedi di argilla” che non hanno suscitato nessuna reazione) ed alla fine gli stessi padroni del servizio sanitario si convincono della sua irrecuperabilità e della sua inutilità. Come sarebbe bello avere l’appropriatezza del pubblico e l’efficienza del privato nel bene comune sanità! Ma chi raccoglie questa sfida?

Il secondo che il servizio va costruito sui bisogni del malato e non solo su quelli degli operatori. Tenere aperti ospedali insicuri e poco attrezzati non serve ai cittadini ma solo agli operatori. Le risorse non sono illimitate e non ne servono di altre. Con quelle che ci sono si potrebbe fare molto di più. Bisogna riportare l’interesse degli operatori all’interno del servizio. La soddisfazione degli operatori , anche economica, deve svilupparsi all’interno del servizio, basta con la “intramoenia” dei dipendenti e basta con i medici di famiglia liberi professionisti. Tutti devono essere concentrati sull’efficienza e l’efficacia del servizio per cui lavorano e da queste trarre anche soddisfazioni economiche. Non si possono servire due padroni! A volte i padroni sono tre. In questi giorni due gruppi industriali hanno pagato milioni di sterline e di dollari rispettivamente per aver pagato ortopedici perché acquistassero le loro protesi a prezzo più alto in Grecia e per aver pagato medici nel Maryland (USA) perché prescrivessero il loro farmaco per la sclerosi multipla.

Il terzo che i risultati (di produzione e di salute) devono essere verificabili. Se tutte le informazioni sanitarie di ciascuno di noi fossero disponibili in rete, i vantaggi per l’assistenza sarebbero inimmaginabili. Perché l’informatica non sfonda in sanità? I maligni dicono perché i medici non voglio il controllo sui loro risultati e sulla loro attività. Se si controllasse l’attività svolta quotidianamente (come in fabbrica) i fenomeni di assenteismo non sarebbero possibili. Ma soprattutto quello che prevale è una visione della sanità come “fabbrica di prestazioni”. Come posso impiegare il denaro per ottenere più prestazioni? È una domanda giusta. Ma perché non sviluppiamo una visione della sanità come strumento di promozione della salute? In Puglia la spesa sanitaria è cresciuta negli ultimi anni ma gli indicatori di salute non sono migliorati (mortalità infantile) o sono addirittura peggiorati (mortalità per tumori). La mole di dati presenti in sanità permetterebbe l’applicazione di ingegneri, economisti, sociologi, psicologi, biologi, fisici, chimici, statistici col risultato di conoscere meglio pregi e difetti del sistema e ricercare soluzioni ottimali. Non c’è nessuno superconsulente che sa tutto. Il servizio sanitario non è solo una “fabbrica di prestazioni” ma un potentissimo laboratorio di conoscenza e di sviluppo anche economico (perché nessuno ha mai pensato di produrre qui parte di ciò che si acquista quasi sempre dal Nord? Cosa sa il sistema produttivo locale delle necessità del servizio sanitario?). Stimolare professionalità interne ed esterne a capire meglio cosa ci dicono i dati sanitari non può che migliorare il sistema. Contrastare il consumismo farmaceutico e radiologico non può che far bene alla salute. Cosa si fa per non medicalizzare stagioni della vita che sono perfettamente naturali? Cosa si fa per non far crescere i tumori da radiazioni mediche inappropriate? Persino il President’s Panel Cancer nel 2010 ha chiesto ad Obama di ridurre l’esposizione della popolazione alle radiazioni mediche!

Il quarto riguarda la prevenzione, quella vera, che allontana le nocività dall’uomo, che ricerca le cause delle malattie e le rimuove. Troppe resistenze nelle ASL a fornire i dati agli enti di ricerca che vogliono fare epidemiologia. Troppe vaccinazioni e pochi controlli sugli alimenti. Un terreno su cui c’è ancora molto da fare.

Il quinto riguarda il servizio pubblico prima di tutto. In questi anni il privato religioso in Puglia ha visto crescere il suo finanziamento molto oltre la rispettiva crescita del pubblico, i posti letto non sono stati ridotti, con il San Raffaele si è fatta una joint venture con 120 milioni di denaro pubblico, a San Giovanni Rotondo si è finanziata la PET -TAC (che poteva essere acquistata all’Istituto Tumori, al Policlinico di Foggia e a Lecce) e la banca del cordone ombelicale. Sono segnali contraddittori che si lanciano agli operatori pubblici ed ai cittadini che credono ancora nel servizio sanitario pubblico e che per la sua efficienza ed accessibilità si spendono.

Denaro che poteva essere speso per migliorare la dotazione tecnologica dei nostri ospedali e tentare di ridurre il divario con il Nord. Non si tratta di essere contro il privato e contro la chiesa. Si tratta di avere una visione del bene comune che non indulge in sotterfugi e tradimenti. Se sei il custode di un bene pubblico non puoi operare a suo danno. Altrimenti anche gli operatori saranno contagiati dal cattivo esempio. Se certo sindacato impone un egualitarismo meritofobico e certa politica premia l’affiliazione rispetto alla professionalità, i cittadini possono chiedere alle istituzioni di premiare invece le esperienze in cui l’accessibilità dei malati e i risultati (misurati non autocertificati) delle cure sono migliori.

Concludo dicendo che se la politica, il custode di questo bene comune che è la sanità, deve essere senz’altro richiamato al suo dovere di suo tutore leale, noi cittadini ed operatori dobbiamo diffondere e promuovere la visione e la cultura di un vero servizio sanitario pubblico, risorsa irrinunciabile per la promozione ed il recupero della salute, praticando un controllo intransigente, pretendendo trasparenza, coerenza, comunicazione dei risultati, interlocuzione costante. Cominciando a divulgare le buone pratiche, buone per i cittadini, s’intende!