Le parole del presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, sulla necessità di abolire la libera professione dei medici ha suscitato un dibattito ampio che rischia però di non cogliere appieno il momento di grave difficoltà del servizio sanitario pubblico. In questo Dossier sono riuniti tre interventi. Uno redazionale con la cronaca degli interventi, uno di Gianlugi Trianni, medico igienista e già manager sanitario in Toscana ed in Puglia, uno del Forum Ambiente Salute e Sviluppo di Brindisi.

TEMPI DI ATTESA E RISCHIO CORRUZIONE

Maurizio Portaluri

In occasione della prima giornata nazionale contro la corruzione in sanità, svoltasi 6 aprile scorso, il presidente della Autorità Nazionale Anti Corruzione, Raffaele Cantone, ha indicato nelle liste di attesa uno degli snodi problematici della corruzione in questo settore. Le cause di queste attese sono varie ma proprio in queste settimane il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, ha attribuito una notevole responsabilità all’attività libero professionale che i medici pubblici possono svolgere nei riguardi dei pazienti paganti in proprio. “Abolire l’intramoenia, fonte di diseguaglianza e corruzione” ha scritto su Twitter il presidente toscano annunciando un provvedimento legislativo correttivo entro 2 mesi ed ha aggiunto: “La libera professione intramoenia ed extramoenia è ormai diventata un’indecenza, Abolendola d’incanto spariranno le liste d’attesa.”

La Regione Toscana non è nuova per iniziative su questo tema. Allora Rossi era assessore alla sanità. Aveva resistito con successo dinanzi alla Corte Costituzionale contro la riforma alla legge Bindi operata dal Governo Berlusconi che permetteva l’attribuzione di incarichi dirigenziali a medici che scegliessero l’extramoenia, ripristinando così la precedente norma che la vietava. Inoltre nel 2009 decideva di abolire la doppia lista per gli interventi chirurgici, quella dei paganti in proprio e quelle a carico del pubblico.

Da sempre si sono levate voci critiche nei riguardi di questo istituto, davvero singolare nel panorama della pubblica amministrazione, secondo il quale il medico del servizio pubblico può erogare la stessa prestazione nei riguardi dello stesso utente con spesa o a carico dell’erario oppure a carico del paziente. Dopo la sortita del Presidente Rossi anche Cittadinanzattiva, storica associazione a tutela dei diritti del malato da sempre critica nei riguardi dell’ALPI, riprendeva il tema: “è urgente che le istituzioni se ne occupino subito e basterebbe iniziare da quattro interventi: approvazione di una norma nazionale che preveda l’obbligo di sospensione automatica dell’attività intramoenia, da parte di regioni e ASL, quando i suoi tempi di attesa prospettati ai cittadini siano inferiori a quelli del canale istituzionale; verifica costante del rispetto sostanziale della normativa che già regola abbondantemente l’intramoenia come la legge 120 del 2007, ancora troppo disattesa; approvazione di un nuovo Piano Nazionale per il governo dei tempi di attesa, scaduto ormai da oltre 3 anni, prendendo a riferimento la buona pratica della Regione Emilia Romagna con il suo Piano regionale sulle liste di attesa; l’implementazione sostanziale delle raccomandazioni ANAC e verifica periodica. Queste sono solo alcune delle azioni che le istituzioni dovrebbero mettere in campo per poter dire di essere impegnate nella tutela di un Servizio Sanitario Pubblico, universale, equo e solidale“. Ma si tratta pur sempre di una proposta all’interno dell’ordinamento vigente, fondato essenzialmente su controlli e verifiche, che come si vedrà, non vengono quasi mai realizzati.

I sindacati medici hanno ovviamente contestato queste dichiarazioni sostenendo che l’ALPI rappresenta solo una piccola parte della attività dei medici pubblici e che quindi non può essere responsabile dell’allungamento dei tempi di attesa. Un’altra obiezione ai critici di questo istituto è quella che i medici sarebbero pagati poco e che l’ALPI surrogherebbe questa carenza della Stato. Si tratta di obiezioni deboli in quanto talvolta l’ALPI si pone come una vera e propria attività concorrenziale rispetto all’attività pubblica: la prestazione pubblica ha lunghi tempi di attesa, quella privata ne ha di bravissimi. Inoltre quante volte deve pagare il cittadino l’assistenza sanitaria: prima con la tassazione del reddito, poi con il ticket infine con l’ALPI?

In Puglia proprio in questi giorni il M5S ha presentato una mozione in consiglio regionale per chiedere alla Giunta regionale di schierarsi contro l’ALPI. “L’attività professionale di intramoenia così come di extramoenia esercitata dei medici del SSN è oramai una palese stortura prevista dal nostro ordinamento, che costituisce non solo una forma di evidente conflitto di interessi e quindi di rischio speculativo da parte dei sanitari, ma contribuisce direttamente all’allungamento delle liste d’attesa e quindi ad inquinare una delle basi fondanti del nostro sistema sanitario, ovvero il principio di appropriatezza.

Ma in realtà le normative prevedono controlli e verifiche ma è necessario chiedersi se vengono svolti. Il regolamento dell’Emilia Romagna a riguardo prevede sin dal 2013 che “l’Azienda (sanitaria, ndr), in presenza di lunghi tempi di attesa, ovvero oltre gli standard previsti dalla normativa regionale vigente, ridefinisce i volumi concordati di attività libero professionale fino al ristabilimento del diritto di accesso alle prestazioni nei tempi massimi previsti per l’attività istituzionale. Il perdurare di lunghi tempi di attesa e il mancato rispetto dei volumi e delle modalità di erogazione concordati comportano, per i dirigenti/équipe coinvolti, la sospensione dell’attività libero professionale fino al rientro dei tempi nei valori standard fissati, che costituiscono un diritto del cittadino. Anche in presenza di liste d’attesa compatibili con la normativa vigente, devono essere garantiti i sistemi di monitoraggio dei volumi di attività in modo da assicurare che, complessivamente intesa, per unità operativa o specialità, l’attività istituzionale sia comunque prevalente rispetto a quella libero professionale.

Anche la Regione Puglia l’11 febbraio scorso ha emanato un regolamento sulla questione, il quale tra l’altro prevede quanto la legge del 2007 aveva già indicato: “garantire l’allineamento dei tempi di erogazione delle prestazioni nell’ambito dell’attività istituzionale ai tempi medi di quelle rese in regime di ALPI, al fine di assicurare che il ricorso a quest’ultima sia conseguenza di libera scelta del cittadino e non di carenza nell’organizzazione dei servizi resi nell’ambito dell’attività istituzionale. Controllare che i volumi delle prestazioni libero professionali non superino quelli eseguiti nell’orario di lavoro secondo criteri di omogeneità di tipologie di attività.Vigilare in modo che tutti i dirigenti in regime di intramuraria ovvero in regime extramoenia effettuino le prestazioni istituzionali, nel rispetto dei tempi medi stabiliti.

In Puglia non è prevista la sospensione dell’intramoenia come in Emilia Romagna nei casi di sforamento dei tempi si attesa e si prevede in fondo, quasi a giustificazione, che la carenza di organico possa rappresentare una attenuante e quasi una giustificazione per il disallineamento dei tempi tra l’attività pubblica e privata. La proprosta pugliese è quindi più “annacquata” e presenta al suo interno in fondo delle scappatoie. Ci si chiede se sia stata scritta con l’occhio prevalentemente rivolto agli interessi dei cittadini o di chi fa l’ALPI.

La nuova normativa regionale prevede l’ Organismo Paritetico di Promozione e Verifica dell’ALPI che avrà il compito di tenere sotto controllo la situazione. Ma gli organismi sinora previsti, come la Commissione Aziendale di Verifica e Vigilanza come hanno operato, hanno vigilato, hanno relazionato annualmente ai direttori generali sullo stato delle cose? Il dubbio che si siano limitate a registrare lo status quo è legittimo se i tempi di attesa in alcune branche continua ad essere tanto lunghi.

Ma la politica del controllo evidentemente non basta. Portare correttivi alla normativa in vigore non è sufficiente. L’attività professionale dei medici comunque intesa rappresenta una sempre più evidente stortura del Servizio Pubblico, una forma di concorrenza sleale che contribuisce all’allungamento dei tempi d’attesa e pertanto è interesse dei cittadini abolirla.

 PER UN’ALTRA POLITICA SANITARIA

Gianluigi Trianni

 LA SORTITA DEL PRESIDENTE DELLA REGIONE TOSCANA E LE SUE CONTRADDIZIONI

I 17 marzo scorso, il presidente della Toscana e candidato alla segreteria PD, Rossi, lanciò su facebook il suo ormai famoso grido di denuncia e di battaglia:

In sanità basta con la libera professione intramoenia, fonte di diseguaglianza e di corruzione. Bisogna fare una cosa davvero di sinistra: abolirla. D’incanto spariranno le liste d’attesa, mi ci gioco la faccia. L’idea è promuovere una legge di iniziativa popolare al Parlamento”.

Su tale pot-pourri di proposte di sinistra (abolizione/superamento della dimensione di mercato degli atti sanitari qual è anche la libera professione dei medici dipendenti del SSN; opportunità di leggi di iniziativa popolare quale strumento di mobilitazione democratica viste le insensibilità del Parlamento e la sua composizione con “nominati”, caratteristica che la legge di revisione costituzionale e l’”Italicum” accentueranno ulteriormente; il superamento di conflitti di interesse oggettivi da perseguirsi tramite il “Chi lavora nel pubblico non può aprire bottega in proprio”), e di pure, demagogiche ed gratuitamente insinuanti falsità (“d’incanto spariranno le liste di attesa”), si è acceso un dibattito polemico a più voci di politici e sindacalisti, dal quale sono emerse, insieme a qualche argomentazione strumentale atta a difendere interessi corporativi che “abitano” qua e là le rappresentanze sindacali dei professionisti del settore, importanti verità, ammissioni e conferme.

Verità, ammissioni e conferme non solo sulla libera professione ma anche, e soprattutto, sul Servizio sanitario pubblico e sulle politiche nazionali e regionali che lo vanno esponendo alla progressiva privatizzazione, tramite l’espansione del ruolo delle assicurazioni ed il ritorno alla mutualità, con costi ed inefficienze a carico dei cittadini “non imprenditori” nel settore della sanità privata, delle assicurazioni e non percettori di redditi compatibili con elevate polizze assicurative, come quelle necessarie ad assicurarsi completi cicli di cura presso la sanità privata, il cui esempio è purtroppo seguito dai sindacati confederali quando siglano accordi di sanità integrativa, pomposamente definiti di “welfare aziendale”, con fondi detratti dal monte stipendi e dalla contribuzione “datoriale” alla fiscalità generale ed al Fondo sanitario nazionale. Ma a ben vedere anche con incremento dei conti pubblici quando si osservi che gli stati “occidentali” nei quali sia prevalente su quella pubblica la forma privatistica di erogazione ed assicurativa di remunerazione dell’assistenza sanitaria, più alte sono anche per lo stato le percentuali di incidenza della spesa sanitaria sulle uscite totali! (cfr. OCSE)

Oltreché amara, una “spigolatura” di verità, ammissioni e conferme, sorvolando sulle considerazioni corporative di cui sopra, può essere utile a passare dalle analisi alle proposte ed al perseguimento di obbiettivi di politica sanitaria utili ai cittadini ed ai professionisti.

QUANTO PAGHIAMO GIA’ DI TASCA NOSTRA

Ma prima sarà utile definire la dimensione economico-sociale della attività libero professionale avvalendoci, in attesa che siano disponibili i dati del monitoraggio della libera professione tramite l’indagine campionaria in corso in questi giorni di Aprile 2016 di Age.na.s, proprio del recente spot a sostegno della privatizzazione della sanità “Sanità integrativa e libera professione. Le sinergie possibili” di I. Mastrobuono e G. Labate su Quotidiano Sanità, (“arena” sulla quale il dibattito sulla Libera professione si è svolto e dal quale saranno prese le citazioni a seguire). “Una recente indagine del CERGAS Bocconi ha fotografato la spesa sanitaria privata delle famiglie riferita al 2013 dalla quale emerge che su un totale di 32,7 miliardi di euro:

  • circa 5 miliardi di euro sono concentrati nell’ambito dei ricoveri (compresi quelli negli istituti di assistenza, case di riposo ed RSA),

  • 3,5 miliardi nelle visite specialistiche,

  • 4,5 miliardi in odontoiatria, 2,4 miliardi in analisi cliniche e radiologiche,

  • 12,5 miliardi in farmaci (di cui una quota considerevole per medicine non convenzionali).

In tale spesa privata è contenuta anche quella della libera professione dei medici (oltre 1 miliardo di euro) ma non è dato conoscere quanto provenga da pazienti che sono iscritti a forme integrative di assistenza e quanto sia pagato di tasca propria dal cittadino. Una cosa è certa, molti fondi si rivolgono alle strutture pubbliche per la erogazione di prestazioni in regime libero-professionale.

Secondo l’11° Rapporto Sanità a cura del CREA Sanità “sono chiamate a rinunciare prevalentemente le famiglie dei quintili medio-bassi” L’aumento progressivo dei ticket nel tempo non ha determinato maggiori entrate per le regioni bensì una fuga della classe media, e non solo, verso la sanità low cost e sono sempre più numerose le strutture non accreditate dal Servizio sanitario nazionale che operano erogando prestazioni a costi eguali o poco superiori ai ticket. Qualsiasi intervento che comporti aumenti dei ticket non potrà che favorire questo settore che si stima valga circa 10 miliardi di euro”!

In primo luogo è da segnalare come lo stesso Rossi in una intervista rilasciata a C. Fassari il 23.03.2016 confermi la sua convergenza programmatica con il PD di Renzi, con il governo Renzi e con le tesi della grancassa privatistica del mondo imprenditoriale interpretata organicamente da ultima da I. Mastrobuono e G. Labate:

  1. La mutualità integrativa è una grande questione e io per primo ritengo che possa rappresentare una valida soluzione per supplire a difficoltà oggettive del servizio pubblico, soprattutto oggi con la carenza di risorse a disposizione. (quindi accetta e si rassegna al “definanziamento” che il governo Renzi in continuità con i governi precedenti ed alle direttive della nota della BSE Trichet – Draghi del 2011, ha imposto nel triennio 2016 – 2018 con la legge di stabilità 2016 al Servizio Sanitario Nazionale e quindi alle sue articolazioni regionali)

  2. Ma bisogna fare un discorso serio. Prendere in mano la questione in modo organico, conadeguate politiche di incentivazione fiscale per settori come quello delle cure dentali ma anche della domiciliare dove il Ssn è più carente. (quindi propone di ridurre il prelievo fiscale e quindi la fonte di finanziamento del servizio sanitario nazionale e propone ulteriormente addirittura la assistenza domiciliare che notoriamente è usufruita dalle fasce deboli della popolazione ne condiziona la sopravvivenza e la possibilità di ricorrere inidoneamente a cure presso gli ospedali per acuti)

  3. Uno Stato serio, preso atto che non può garantire a tutti alcune prestazioni, deve porsi il problema, garantendo l’accesso alle fasce deboli e favorendo percorsi che agevolino anche forme assicurative o mutualistiche per le fasce più abbienti. (quindi propone un Servizio sanitario pubblico non universalistico ma per soli “poveri” a fianco di una sanità assicurativa, come negli USA (!) e mutualistica, la cui insostenibilità, inefficienza ed inefficacia portò negli anni ’70 a realizzare il SSN e la L. 833/78!)

  4. E in questo quadro inserirei anche la questione ticket che pesa molto sui cittadini e chepotrebbe anch’essa rientrare nella copertura della sanità integrativa.” (quindi propone di “appesantire” i già pesanti ticket con quote ulteriori derivanti dalla remunerazione delle compagnie assicuratrici e dei loro apparati amministrativi necessari a garantire la copertura finanziaria del rischio malattia/prestazione assistenziale/ticket!)

Peccato perché nella stessa intervista le premesse circa l’opportunità di abolire la libera professione intra ed extra moenia erano state adeguatamente declinate in risposta alla ministra Lorenzin : “Va regolamentata, non abolita”.e “Sulla questione che pone il governatore Rossi sull’intramoenia ci si può ragionare nel merito, ma è una proposta vecchia (!!?). Il problema è che la norma è applicata solo in parte e a macchia di leopardo. Spesso mancano spazi e le tecnologie per farla funzionare bene”.

Infatti Rossi replica:

  • abolire la libera professione è ormai una necessità assoluta per salvare la dignità e la credibilità del Sistema sanitario pubblico, soprattutto agli occhi dei cittadini”

  • Lo dico da presidente di una Regione che ha realizzato tutte le strutture e tutti gli uffici moderni che la ministra denuncia mancare altrove. In Toscana abbiamo dato alla parola intramoenia il significato che le è proprio, riportare dentro le mura pubbliche delle aziende sanitarie la libera professione e regolarla con atti forti che, ricordo, sono stati impugnati dai sindacati sanitari che hanno regolarmente perso i ricorsi davanti al giudice. Proprio per l’esperienza che abbiamo avuto ribadisco la mia convinzione sulla necessità di superare questo regime”

  • Ci sono medici che con l’attività libero professionale ormai quintuplicano i loro stipendi perché operano in settori dove è possibile esercitare l’intramoenia. Ci sono altri medici, altrettanto bravi, che non vanno oltre il regolare stipendio, sia per scelta, perché preferiscono dedicarsi interamente al malato, sia perché nelle loro specialità è impraticabile l’attività libero professionale”

  • Questo produce sperequazioni e tensioni all’interno del mondo sanitario. Per le visite specialistiche si è registrata una diffusione così forte della libera professione che viene percepita dai cittadini come una sostanziale privatizzazione della sanità. Infine, con la libera professione, per quante regole si possano mettere, niente potrà far uscire il servizio pubblico dall’imbarazzo di rivolgersi al cittadino con la risposta ormai classica che a pagamento la prestazione si ottiene in pochi giorni mentre nel regime pubblico ordinario occorrono a volte settimane e mesi. Questo è un colpo ferale non solo alla credibilità del servizio sanitario pubblico ma anche alla stessa dignità e autorevolezza del mondo medico e degli operatori sanitari.”

  • ad aggravare il quadro, si aggiungano le normative previste per gli extramoenisti, a cui è consentito servire due padroni in concorrenza tra loro. In tempi di esaltazione di tutto ciò che è privato, è persino troppo ovvio ricordare che nessun privato consentirebbe ai propri dipendenti di aprire bottega in proprio all’interno delle sue mura e ancor meno di essere per metà tempo alle dipendenze della concorrenza”.

  • Quanto alle liste d’attesa – prosegue Rossi – è evidente che l’attività libero professionale intramoenia o extramoenia finirà per non giovare all’attività ordinaria a cui hanno accesso i cittadini che non possono permettersi di pagare. In tempi nei quali aumentano la povertà assoluta e relativa, l’intramoenia consolida e accentua le disuguaglianze, spingendo in alcuni casi persino a rinviare le cure. L’obiezione di coloro che temono che alcuni professionisti potrebbero allontanarsi a causa dell’impossibilità di svolgere la libera professione è facilmente superabile: basta prevedere contratti speciali e esclusivi che premino, in base a valutazioni oggettive, i capaci e quelli che lavorano di più, i professionisti migliori”

  • Prima di tutto la scelta del medico in Italia è abbastanza ampia perché esiste un assicuratore universale, il Ssn, che consente di andare in ogni ospedale d’Italia e ricevere gratuitamente o con un ticket la prestazione richiesta. Il tema mi sembra pretestuoso anche perché non è certo a pagamento che si può consentire di scegliere il medico e per di più passando avanti agli altri che non possono permettersi la visita o la prestazione privata.

  • Penso che nei fatti esista ( ndr. il patto non scritto del tipo “io Stato non posso pagarti di più ma ti consento di lavorare fuori”). Del resto sono sette anni che i medici sono senza contratto e quindi il problema della loro retribuzione va affrontato in ogni caso. E il nuovo contratto sarebbe proprio la sede giusta per trovare insieme ai medici il modo per superare l’intramoenia”.

  • Chi lavora sia nel pubblico che nel privato deve scegliere. O di qua o di là. Serenamente. Del resto quale azienda consentirebbe a un suo dirigente, e i medici lo sono tutti, di lavorare la mattina in sede e il pomeriggio in un’altra azienda?

LA POLITICA DEL GOVERNO STA DEPAUPERANDO IL SERVIZIO PUBBLICO

Peccato anche che la realizzazione di queste osservazioni e la conseguente proposta di eliminare la libera professione siano in totale contraddizione con l’azione sua e del governo come puntualmente denuncia Il 25 marzo su “Quotidiano Sanità” con documentate e pertinenti osservazioni Cozza, segretario della Cgil Medici,: “La proposta di abolire la libera professione nel Servizio sanitario nazionale portata avanti da Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana e candidato alla guida del Pd, rischia di sviare l’attenzione dall’obbiettivo fondamentale per garantire la tutela della salute: il diritto all’accesso alle cure su tutto il territorio nazionale. E le priorità sono un rinnovato governo nazionale della sanità per superare le diseguaglianze regionali, ed in primo luogo l’abolizione delle liste di attesa e dei ticket.

Per raggiungere questo risultato c’è bisogno di:

  • mettere la parola fine alla stagione dei tagli e di portare avanti una politica di investimenti nel servizio pubblico, che riporti il nostro paese al livello europeo dei finanziamenti rispetto al Pil.

  • Poi intervenire sull’appropriatezza dei percorsi di accesso e dell’organizzazione.

  • Quindi eliminare il ticket, che oggi può arrivare a cifre tali da rendere più conveniente rivolgersi direttamente al privato.

In questo quadro andrebbe valorizzato chi lavora solo per il servizio pubblico, con una rivalutazione della esclusività, con contratti rinnovati e con la possibilità di premiare il merito.

Abolire invece la libera professione oggi, in una situazione di tagli e di carenza di personale (dal 2009 al 2014 sono 5 mila i medici in meno), di blocco del contratto da oltre 6 anni, di congelamento della indennità di esclusività da oltre 15 anni e perfino della retribuzione accessoria con la quale si dovrebbe premiare il merito, rischia di essere un boomerang per il servizio pubblico.

E indicando come possibile la abolizione della libera professione denuncia ulteriori due distorsioni, senza nascondere la corresponsabilità sindacale:

  • una crescita allarmante di medici pubblici in extramoenia, nel silenzio della politica, con una crescita dal 2009 al 2014 di 1.707 unità (da 5.392 a 7.099) e con il dato più preoccupante di ben 37% direttori di struttura complessa in più (da 246 a 390) (elaborazioni Fp CGIL Medici su dati del Conto annuale del Tesoro). In altre parole, chi dirige i reparti ospedalieri e li dovrebbe organizzare, lavora sempre di più anche nel privato, in modo non regolamentato e concorrenziale allo stesso pubblico.

  • La normativa vigente, la legge 138 del 2004, successiva alla Legge Bindi (229/1999), consente al medico pubblico di poter optare ogni anno tra esclusività di rapporto (con facoltà dell’intramoenia) e l’extramoenia. Inoltre la Legge 189 del 2012 ha, di fatto, istituzionalizzato la possibilità di svolgere l’attività intramoenia negli studi privati, seppure in rete con controlli telematici (ndr. ad oggi da attuarsi!)

Ma il 24 marzo Troise, presidente Anaoo, risponde a Rossi esponendo con chiarezza obbiettivi, responsabilità ed esiti politici dell’attuali dello “smantellamento” del servizio sanitario pubblico:

Bollata come “pura ed inutile demagogia” la creazione di “un nemico per rimuovere responsabilità della politica”, (intesa nella accezione dei partiti di governo e di opposizione e come avviene in queste ore con il tema della corruzione in sanità sul quale torneremo in altra sede vista la sua complessità) testualmente dichiara “Nel dibattito politico odierno la sanità è desaparecida, se non come costo da tagliare o cronaca giudiziaria. I politici intervengono alternando populismo a luoghi comuni, demagogia a scarsa conoscenza del funzionamento di un sistema complesso. Il fatto è che è cambiato il contesto rispetto ai decenni passati, quando c’era almeno un partito, in maggioranza o alla opposizione, disponibile ad intestarsi una difesa della sanità pubblica. La sanità non è, oggi, nell’agenda del Governo perché non è nell’agenda dei partiti al Governo.

Il PD, cui spettano le responsabilità maggiori per il ruolo, la storia, gli attori che mette in campo o lascia in panchina, ha perso la salute. E la prognosi rimane riservata. Per la prima volta dall’approvazione a larghissima maggioranza della L. 833/78, non si vede un partito o una corrente che voglia intestarsi non la difesa, ma il rilancio della sanità pubblica e dei cambiamenti necessari. Sul campo sociale si vedono solo le idee e le battaglie dei medici, lasciati soli a lanciare allarmi nel vuoto di intellettuali, forze politiche e sociali.

LE DISEGUAGLIANZE DEGLI ITALIANI DI FRONTE AL DIRITTO ALLE CURE NELL’AGENDA POLITICA

Nessuno può negare che esistono profonde diseguaglianze tra i cittadini italiani nella esigibilità del diritto alla salute garantito dalla Costituzione e che esse provochino una perdita di consenso e di fiducia nella sanità pubblica. Sullo sfondo di una spesa sanitaria al punto più basso, in rapporto al PIL, dell’ultimo decennio ed al terzultimo posto tra i paesi UE a 15.

Il federalismo di abbandono, termine coniato da Rossi in altri tempi, ha prodotto una declinazione di un diritto uno e indivisibile in tanti modi diversi, a seconda della residenza e del reddito. E gli effetti sociali cominciano a vedersi al Sud, con una aspettativa di vita inferiore di un anno rispetto al resto del Paese ed una morbilità maggiore. Non più compensati da un tasso di natalità elevato o da una migliore qualità della vita. Si tratta, allora, di mettere in campo politiche redistributive, a partire dal fondo sanitario che, penalizzando i soliti noti, oggi va per il 23% al Sud, dove vive un terzo della popolazione italiana in condizioni sociali ed economiche peggiori della media del Paese. Ed intervenire su quella mobilità sanitaria che muove ogni anno 5 mld di euro lungo l’asse sud-nord, con l’effetto Robin Hood alla rovescia di impoverire i poveri ed arricchire i servizi sanitari delle regioni ricche, Toscana compresa. Chissà se la solidarietà è ancora un valore di sinistra.

A queste diseguaglianze legate al CAP si aggiungono quelle legate al reddito, che, come risaputo fin dal black report inglese del 1980, contribuiscono a ridurre la coesione sociale, specie nei periodi di crisi. l’Italia nel 2004 aveva in Europa la più bassa diseguaglianza sociale in sanità. Si curi chi può, recitava il rapporto di Lega Coop nel 2015. Il valore del ticket raggiunge circa il il 3% del FSN, al netto dei furbetti, rendendo molte prestazioni più convenienti nel privato, specie se il suo importo è legato al reddito, con gioia degli evasori fiscali, la spesa privata raggiunge i 3 punti di PIL, il 10% della popolazione non si cura ed il 7% si indebita per curarsi. Percentuali che aumentano con il diminuire del reddito, cioè nelle stesse Regioni dove il finanziamento pro capite pubblico è più basso. E’ colpa della libera professione dei medici o della politica del più forte? Senza scomodare la sinistra basterebbe ricordare la lezione di Don Milani.

L’IMPORTANZA DEL LAVORO IN SANITA’

Lo stesso fenomeno liste di attesa, per quanto fisiologico nei sistemi sanitari universalistici (ndr osservazione non condivisibile), sta raggiungendo livelli patologici per il combinato disposto della contrazione del numero dei professionisti impiegati e dei posti letto disponibili per l’attività non legata alla urgenza. Dirà qualcosa il calo di 6000 medici o il numero di posti letto più basso d’Europa? Solo che siamo i più furbi? Il lavoro medico non è una variabile estensibile all’infinito, indipendente da riposi, durata, condizioni, retribuzione. Il lavoro è il motore del sistema, puntualmente decapitalizzato e svalorizzato da Governi e Regioni in questi anni, banalizzato in minutaggi da tempi moderni, costretto tra taylorismo e toyotismo. Più lavoro medico significa più occupazione giovanile e più quantità e qualità delle prestazioni.

Mentre da tempo, segnali premonitori, movimenti carsici e messaggi politici, più o meno espliciti, parlano di costruire, sull’abbandono della solidarietà fiscale, la sanita per i ricchi, prefigurando lo smantellamento del sistema universalistico o, la versione soft, di un universalismo selettivo, lo Stato oggi si fa imprenditore della sanità privata con i soldi dei libretti postali, scommettendo contro se stesso. E’ tempo che la politica decida se è ancora un diritto costituzionale la tutela della salute di tutti i cittadini. Essere curati secondo i bisogni costituisce un limite etico, civile e sociale oggi fortemente minacciato e, da qualche parte del nostro Paese, già pericolosamente travalicato, in un SSN, che perde pezzi di equità ed universalismo.

Il tema delle diseguaglianze non è separabile da un ripensamento del ruolo delle Regioni, e dei criteri di ripartizione del fondo sanitario che esse si danno. A distanza di 15 anni dalla modifica del titolo V registriamo la frammentazione del Paese, l’indebolimento del senso di cittadinanza nazionale ed il consolidamento o peggioramento delle disparità esistenti tra cittadini delle diverse aree geografiche, una balcanizzazione della assistenza, anche di quella farmaceutica, e delle competenze. Una disarticolazione del SSN, essendo i LEA troppo deboli per proteggerne efficacemente da soli il carattere unitario, che comporta una perdita complessiva di coesione sociale, un progressivo smantellamento di garanzie formali e sostanziali, una accentuazione degli squilibri tra Regioni più ricche e più povere, che si trovano a scegliere tra sviluppo economico e spesa sanitaria.

IL FEDERALISMO FA MALE ALLA SALUTE

La soluzione federalista si è associata, di fatto, a una modulazione dei diritti dei cittadini, una accentuazione dei meccanismi competitivi di mercato o quasi mercato, considerando anche l’interesse delle Regioni a politiche tese a reclutare domanda, anche attraverso la libera professione dei medici, su aree più ampie di quelle normalmente servite, generando chiare forme di migrazione sanitaria e\o a mettere dogane sanitarie per impedire forme di reclutamento dei propri cittadini da parte di regioni meglio dotate. Senza contare la irresponsabilità della spesa, cresciuta notevolmente per la vicinanza ai luoghi ove si crea consenso elettorale. Il federalismo, oltre a produrre un neo centralismo regionale, ha ampliato le diseguaglianze tra le varie aree del Paese fino a farle diventare divaricazioni.

Cambiando radicalmente lo spazio e le prospettive dei diritti di cittadinanza che cessano di essere un bene pubblico nazionale per assumere una valenza locale, trasformando la appartenenza locale nella fonte primaria del diritto sulle risorse. Le implicazioni della modifica del titolo V sotto il profilo della equità, e sui principi di equità e di giustizia distributiva, hanno avviato un processo di devoluzione dei principi di giustizia sociale e prodotto un sistema in cui i cittadini di uno stesso Paese non condividono più gli stessi principi in un ambito rilevante come quello della salute. E questo che ferisce mortalmente l’universalità del Ssn.”

Di qui la richiesta del superamento del Titolo V e dell’autonomia normativa delle Regioni in ambito sanitario.

In sindacati medici propongono una svolta di politica sanitaria in difesa del diritto alla salute: chi, quanti se ne faranno carico?

 ABOLIRLA E INTANTO SOSPENDERLA.

Forum Ambiente Salute e Sviluppo, Brindisi

Le cronache continuamente riportano notizie sui lunghi tempi di attesa per accedere ad alcune prestazioni sanitarie con frequenza tale da non sorprendere più nessuno. Proprio in questi giorni sono state denunciate lunghe attese per visite diabetologiche e neurologiche. In occasione della prima giornata nazionale contro la corruzione in sanità, svoltasi 6 aprile scorso, il presidente della Autorità Nazionale Anti Corruzione, Raffaele Cantone, ha indicato nelle liste di attesa uno degli snodi problematici della corruzione in questo settore.

Le cause di queste attese sono varie, ma proprio nelle settimane scorse il Presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, ha attribuito una notevole responsabilità alla “attività libero professionale intramoenia” (ALPI) che i medici pubblici possono svolgere nei riguardi dei pazienti paganti in proprio. “Abolire l’intramoenia, fonte di diseguaglianza e corruzione“: così ha scritto su Twitter il presidente toscano annunciando un provvedimento legislativo correttivo entro 2 mesi ed ha aggiunto: “La libera professione intramoenia ed extramoenia è ormai diventata un’indecenza. Abolendola d’incanto spariranno le liste d’attesa.”

Abolire la libera professione, intramoenia ed extramoenia, è la soluzione per eliminare la confusione tra pubblico e privato. Chi lavora nel pubblico deve essere a tutti gli effetti un dipendente pagato con denaro pubblico ed i cittadini devono essere davvero tutti uguali di fronte alla malattia. L’idea del presidente della Regione Toscana di promuovere una legge di iniziativa popolare al Parlamento è del tutto condivisibile.

I regolamenti regionali, ancorchè molto diversi tra loro, in realtà restano inapplicati e le forme di controllo sono farraginose. Il regolamento dell’ Emilia Romagna a riguardo prevede sin dal 2013 che, in presenza di lunghi tempi di attesa e del mancato rispetto dei volumi e delle modalità di erogazione concordati, si sospenda l’attività libero professionale fino al rientro dei tempi nei valori standard fissati.

Anche la Regione Puglia l’11 febbraio scorso ha emanato un regolamento sulla questione che prescrive l’obbligo di controllare e vigilare, ma non prevede sospensioni dell’ALPI. La politica del controllo sull’ALPI non paga perchè tutte le Commissioni di verifica sinora previste nei regolamenti ASL non hanno sortito i risultati previsti ed i tempi di attesa in alcune branche continuano ad essere troppo lunghi.

L’attività professionale dei medici comunque intesa, ancorchè prevista dal nostro ordinamento, rappresenta una evidente stortura del Servizio Pubblico, una forma di concorrenza sleale che contribuisce all’allungamento dei tempi d’attesa e pertanto è interesse dei cittadini che sia abolita.

Chiediamo pertanto al Governo ed alle forze politiche di adoperarsi perchè il Parlamento sia messo in condizioni di varare quanto prima un provvedimento legislativo che abolisca la possibilità di esercitare la professione medica intra-ed extramoenia e chiediamo alla Regione Puglia che nel suo citato provvedimento preveda la sospensione dell’esercizio della libera professione quando i tempi di attesa dell’ALPI prospettati ai cittadini risultino inferiori a quelli del canale istituzionale. Ci attendiamo poi che i candidati sindaci e le forze politiche locali durante lo svolgimento della campagna elettorale amministrativa si esprimano con chiarezza su questo scottante problema.