Intervista a Gianluca Budano, Welfare Manager pubblico, giornalista e dirigente delle ACLI (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani), Direttore del Consorzio per il Sistema integrato di welfare dell’Ambito Territoriale Sociale Br 3 di Francavilla Fontana (Br) e consulente di numerose amministrazioni.

Nel tuo recente libro Viaggi con la speranza. Storie di famiglie colpite dalla malattia di un figlio (Meltemi 2021 pp176 16.00 €) affronti un problema non certo nuovo per il Sud. Questa continua denuncia del divario Nord Sud senza che poi si vedano apprezzabili cambiamenti non è in qualche modo frustrante?

Il tema non è nuovo, ma il libro ne racconta alcuni aspetti inediti, come quello delle migrazioni pediatriche obbligate da cure che si possono effettuare solo in alcuni ospedali lontani da casa. Due drammi ulteriori insomma: che si tratti di bambini e che quella migrazione non si può evitare. La vera frustrazione è vedere che problemi che potrebbero trovare una soluzione non vengono affrontati, ma sarebbe ancora più frustrante sentire il “silenzio degli innocenti”. Questo libro non consentirà più di essere assordati da questo silenzio, almeno per ciò che concerne gli aspetti sociali delle malattie, che senza il Terzo Settore non avrebbero una risposta una dallo Stato. Nemmeno il rimborso di viaggi e alloggio che per chi deve partire da un giorno all’altro per salvare il proprio figlio o un minimo di reddito di emergenza sanitaria per fronteggiare un dramma immane come la malattia grave di un figlio, a centinaia di chilometri da casa, lasciando affetti, lavoro, casa e a volte anche il fratellino o la sorellina di chi si è ammalato, aggiungendo problema a problema. La risposta dello Stato attuale: congedi parentali per assistenza a familiare in condizioni di grave malattia. Peccato che durano massimo 2 anni e che spettano solo a chi un lavoro ce l’ha! Il Terzo mondo che spesso denunciamo e per cui ci strappiamo i capelli è nelle 9 storie che in quest’opera di medicina narrativa raccontiamo, assieme al tema della mobilità passiva letta con gli occhi del sociale e non dei ragionieri!

La definizione dei livelli essenziali di assistenza non ha prodotto quella omogeneità dell’assistenza che si ripromettevano. Che cosa non funziona nell’accorciare il divario?

Non bastano LEA e LEPS se non cambia la cultura da cannibalismo sociale che vive il nostro Paese. Le norme sono efficaci se vengono attuate efficacemente. I sistemi sanitari regionali non sono il modello giusto per garantire l’universalismo dei diritti di salute, perchè aumentano i divari. Per una presunta responsabilizzazione dei livelli di governo che non sono efficienti e che vengono penalizzati laddove non raggiungono determinati standard si sacrifica l’uguaglianza dei cittadini nell’accesso ai servizi sanitari, per quantità e qualità. È intollerabile far finta di niente dinanzi all’ipocrisia di chi parla di federalismo senza comprendere che questo rende diseguali i cittadini, a seconda di dove nascono e vivono. Benvenuti ai cannibali sociali 2.0 in salsa federalista!

Se l’autonomia differenziata sarà portata a termine con le modalità finora praticate, quali potrà essere lo scenario prefigurabile?

L’accentuazione e la legalizzazione di quello che esiste già: se nasci da Roma in giù muori di più in culla e muori prima, perchè i determinanti della salute che vivono questi territori generano questi fenomeni e queste differenze. L’autonomia differenziata eliminerà anche gli strumenti giuridici che oggi possiamo attivare per richiedere a un TAR di ordinare a un’amministrazione di attivarsi. In materia di salute, quale sommatoria e integrazione di sanità e welfare, bisogna “nazionalizzare”, centralizzare, non differenziare. 

Un recente studio ha evidenziato che vivere al nord consente di guadagnare di più. Probabilmente la maggior offerta di servizi consente di erodere meno i redditi familiari. Cosa si potrebbe fare rendere il Sud attrattivo per i suoi stessi giovani?

Si guadagna di più, ma si spende anche di più, in considerazione del costo della vita più alto. Diciamo che vale una vecchia regola, che benessere chiama benessere e un sistema di servizi e di determinanti della salute che ha livelli ottimali aiuta a vivere meglio, compreso l’aspetto economico che alimenta l’erario locale che può spendere di più (non sempre meglio) di quanto si spende al sud.  E’ facile amministrare con le casse piene o, come avviene nelle Regioni a Statuto speciale (che come è noto non sono tutte al nord) con rimborsi a piè di lista dello Stato o trattenendo quasi tutta l’Irpef che produce il territorio. Si diventa più attrattivi al sud se anzitutto si rimuovono le condizioni di svantaggio in cui versa. Poi benessere chiamerà benessere e attrattività. 

Un’altra ricerca divulgata in questi giorni ci parla di un’aspettativa di vita dei bambini nati al sud inferiore a quella dei bambini del nord. Come spiegheresti questo fenomeno

La dottrina scientifica ci ha dato una risposta già qualche anno fa. La salute è fatta di determinanti, che vanno dalla qualità delle strutture sociali, sanitarie ed educative, alle condizioni culturali, sociali ed economiche, agli stili di vita. Il set dei determinanti al sud ha indici più carenti, a partire dalle condizioni ambientali. Lo dicono gli studi e le statistiche. Senza interventi massicci che colmino questi divari la situazione può, nella migliore delle ipotesi, restare stazionaria. 

L’immigrazione dal sud del mondo può essere una opportunità o un problema per il Mezzogiorno?

Èun’opportunità per il Paese tutto, al sud può esserlo in particolare per ripopolarlo e restituire un tessuto economico vitale in agricoltura e nei mestieri utili ma ormai rari, come avviene nell’artigianato o nel lavoro agricolo, ricreando l’economia a cui il nostro territorio è più vocato. Ci vuole però politica e comunità all’altezza del compito.   

Intervista di Maurizio Portaluri

26 novembre 2022