La Regione Veneto negli ultimi 30 giorno – dati dell’Istituto Superiore di Sanità – ha fatto registrare 63.610 casi mentre la Puglia 23.176. Eppure la Puglia è in zona arancione ed il Veneto in zona gialla. La differenza probabilmente sta nella assistenza territoriale e nella capacità/velocità nel fare tamponi. Questi ultimi poi nelle settimane a cavallo della fine di ottobre hanno superato i 25mila al giorno mentre in Puglia non hanno ancor raggiunto i 10mila.

La Regione Veneto con una delibera del 10 novembre scorso ha fornito ai sanitari del suo SSR linee guida per seguire i pazienti positivi al test per il Covid 19 a domicilio. Ogni paziente sintomatico viene fornito di un saturimetro e il medico di famiglia deve avere strumenti per contatti quotidiani con il paziente a casa. Viene fornita una scheda per la raccolta di segni e sintomi. Vengono stabilite regole per i contatti tra il medico di medicina generale e gli specialisti coinvolti nella patologia in questione, come gli pneumologi e gli specialisti delle malattie infettive, per consulenze nei casi più problematici. L’accesso in ospedale non sempre esita in un ricovero.

Si legge nella delibera: “Nel Veneto il sistema delle Cure domiciliari risulta, dunque, ben organizzato ed, inoltre, il sistema delle Cure primarie si configura capillare e ben strutturato; pertanto, si ritiene che gran parte dei soggetti risultati positivi al test e sintomatici possano essere presi in carico in ambiente extraospedaliero, domiciliare o RSA, purché ci si possa avvalere di un accorto monitoraggio delle condizioni di salute degli stessi.”

Il Direttore Generale dell’Area Sanità e Sociale, – prosegue la delibera –  ha istituito un gruppo tecnico di lavoro con il compito di definire delle indicazioni per le terapie domiciliari per i pazienti COVID-19 e al loro monitoraggio. Il documento prodotto, agli atti dell’Area Sanità e Sociale, fornisce un supporto per la presa in carico a domicilio prevedendo tra l’altro la fornitura ai soggetti sintomatici di un saturimetro, in linea con quanto peraltro già previsto nell’accordo integrativo regionale della medicina generale”

Oltre a contenere (le linee guida ndr) indicazioni in merito all’autovalutazione delle condizioni cliniche va sottolineato come sia espressamente previsto che, nel caso di aggravamento delle condizioni cliniche, nel corso della fase di monitoraggio domiciliare possa sempre essere eseguita una rapida e puntuale rivalutazione generale per verificare la necessità di una ospedalizzazione o valutazione specialistica, onde evitare il rischio di ospedalizzazioni tardive.”

Insomma in Veneto si è creata una rete sanitaria, anche informatica, che consente di seguire a casa i pazienti affetti da Covid19 riducendo così il ricorso all’ospedale solo ai casi veramente gravi e non intasando i posti letto che restano così disponibili anche per altre patologie. Un simile organizzazione consente di tenere la Regione in fascia “gialla” con la conseguenza di poter esercire una maggior numero di attività economiche.

Che le cose in Puglia stiano diversamente lo si evince anche dalla denuncia di alcuni infermieri di area critica della ASL di Bari che il 13 novembre così scrivono: “Come infermieri di area critica ci troviamo a soccorrere frequentemente pazienti covid accertati e sospetti, molto spesso senza supporto medico (ambulanze solo con infermiere) a causa di carenza di personale, che necessitano delle prime cure o di ricoveri nei pronto soccorso. Si prende atto che, la stragrande maggioranza dei suddetti pazienti, ricorre alla chiamata del 118, per mancanza di assistenza medica diretta e scarse informazioni da parte del sistema territoriale. Nello specifico i cittadini denunciano le lungaggini burocratiche e tempi di attesa “biblici”, nel ricevere assistenza di base da parte delle ASL di competenza.”

Per questo il gruppo di infermieri chiede anche a nome dei cittadini: “che venga rafforzata la medicina territoriale con l’operatività completa dei medici di base (il triage telefonico non può sostituire l’osservazione diretta del malato) e l’incremento delle unità USCA (attualmente 1:50.000 abitanti), per le visite domiciliari dei pazienti covid accertati e sospetti; il ripristino del personale medico nelle postazioni 118 dove figurano ad oggi posti carenti. Questo eviterebbe inutili accessi nei pronto soccorso e conseguente intasamento dei centri regionali covid considerato che, la diagnosi precoce ed il tempestivo approccio terapeutico, soprattutto nei pazienti più anziani, può determinarne la prognosi.”

Maurizio Portaluri

15 novembre 2020