Di Vito Totire*

Il filone di ricerca non è nuovo; diversi anni fa fu oggetto di una pubblicazione della regione Emilia Romagna dedicata in particolare agli studenti delle scuole medie superiori che focalizzò la frequenza con cui la letteratura classica di tutto il mondo ha avuto occasione di citare il “tema” del rapporto tra lavoro e salute , anche a proposito degli infortuni; un libretto con copertina gialla distribuito gratuitamente nelle fiere annuali di “Ambiente/lavoro”; se esaurito la Regione dovrebbe ristamparlo.

Nella condizione di deprivazione socio-sensoriale indotta dalla epidemia molti di noi hanno dato fondo al patrimonio personale di libri detenuti (non nel senso di privati della libertà) ma trascurati, della serie: bello, lo prendo, lo leggo quando posso…

E nell’ambito di questo sentiero, diciamo da topo di biblioteca (senza offesa per il topo), che mi spunta tra le mani una raccolta di racconti di Carlo Cassola; prefazione di Giorgio Bassani; Cassola già emana un suo grande fascino quando dice “amo la periferia più che la città, amo tutte le cose che stanno ai margini“; dunque è ovvia l’aspettativa di trovare nelle sue opere cose importanti, ben oltre quelle forme di poesia e di letteratura destoricizzate che fanno pensare più alla opportunistica  volontà di non essere “divisivi” che alla scomoda volontà di raccontare la realtà.

Allora in uno dei racconti del libro dal titolo “Il taglio del bosco” (BUR 1998), di per sé tutto interessante dal punto di vista della storia dei lavoratori, in quello intitolato “Rosa Gagliardi” (che, ci ricorda Bassani, scritto nel 1946 viene pubblicato nel 1947) ecco uno sguardo sulle condizioni di lavoro di un ferroviere; gli anni di redazione e pubblicazione sono importanti se riflettiamo sul fatto che ancora oggi i “decisori” che siedono ai tavoli padroni/sindacati mostrano di non voler prendere atto della gravosità del lavoro, del suo potenziale usurante e della impellente necessità di adottare azioni di miglioramento in particolare per contrastare lo stravolgimento dei naturali ritmi circadiani (oggi che la questione amianto è storia – pare – del passato per quanto riguarda la esposizione a rischio ma ancora drammatica storia del presente in quanto a malattie tumorali asbesto-correlate).

Si può verificare una tendenza alla rimozione dei problemi per chi ha avuto più occasioni di fare soltanto letture che non includono Cassola o altri autori che si occupano della condizione operaia, ma la tendenza alla rimozione ed alla negazione può verificarsi anche per chi ha letto Cassola, ed altri sulla sua stessa lunghezza d’onda, ma ha preferito dimenticarli.

E allora veniamo a Guglielmo, il protagonista ferroviere che – racconta Cassola – era il marito di Amelia.

“Faceva servizio sui merci da Saline a Pisa o da Saline a Grosseto. Stava fuori anche 36 ore di fila. Non aveva orario. Tornava a casa alle ore più impensate, magari alle tre o alle quattro di notte…”

“Anche lui fa una vita sacrificata” disse (Amelia).

“E dei suoi dolori come sta?” chiese Rosa…

“Come vuoi che stia?” rispose Amelia “Sono gli incerti del mestiere. Ti pare una cosa logica che un uomo di trent’otto anni debba essere reumatizzato come un vecchio di ottanta?”

“Erano tre o quattro anni che Guglielmo aveva cominciato coi dolori a una spalla e alla schiena. Ora gli si erano acutizzati, tanto che pensava di prendere un congedo…”

“io sono dell’idea che Guglielmo deve lasciare le ferrovie…”

“A lungo andare” riprese Amelia” il lavoro che fa Guglielmo, di notte, con qualunque tempo…”

“Si capisce. E’ un lavoro che logora…”

“Quando la bimba era piccina allora Amelia stava sempre con la paura che succedesse qualche disgrazia al marito, o che lo mettessero fuori, come furono lì lì per metterlo fuori al tempo del fascismo…”

I rischi lavorativi – come acutamente sottolinea Cassola – si riverberano psicologicamente (e non solo, ma anche fisicamente) pure sui familiari.

Né sfugge a Cassola la opportunità di sottolineare – con una capacità di osservazione da “psicologo del lavoro” – che la nocività delle mansioni non è connessa a demotivazione personale visto che certo Guglielmo “era dovuto entrare in ferrovia” (a seguito della morte del padre) ma “(egli) era di buon carattere e non rimpiangeva che le cose fossero andate così”.

Che dire in conclusione: spesso si parla di “cultura” come opportunità di business, cerchiamo invece e piuttosto far uscire dall’oblio la cultura che contribuisce a costruire equità e giustizia.

Grazie a Cassola ma… cercando, troveremo una miniera di valori sociali e possiamo riportarli alla luce scavando senza i rischi fisici delle miniere (sono passati pochi giorni dall’anniversario della strage di Marcinelle) quelle nel senso letterale e fisico del termine.

*rete per la ecologia sociale

Bologna, 12 agosto 2021