Di Maurizio Portaluri

La politica sanitaria è risultata la grande assente dal dibattito di questa anomala tornata elettorale che ha attraversato i mesi più caldi e meno attenti della stagione estiva. A parte alcuni slogan lanciati dai maggiori schieramenti in competizione, non sono emersi orientamenti tra loro alternativi su un tema così importante, non solo per la fetta di risorse gestite dalle regioni per la sanità (in Puglia circa 7,5 miliardi nel 2020) ma soprattutto per l’evidenza con cui la pandemia di Covid19 ha chiarito l’importanza di un forte servizio sanitario pubblico a sostegno della tenuta del sistema economico.

Già nelle prime settimane in cui la pandemia mieteva numeri crescenti di vittime si levò unanime, pareva, la voce a sostegno della necessità di un servizio sanitario pubblico soprattutto nel territorio. Numerose petizioni e manifesti sono stati sottoscritti in tutto il paese dalle realtà sociali e politiche più diverse perché questa necessità fosse recepita dalle politiche governative. Ma i buoni propositi sono durati pochi mesi e mentre la campagna elettorale avanzava tra lo scambio di vecchie e generiche accuse, alcune voci isolate potevano fornire un indizio delle vere intenzioni dei contendenti.

Il 5 agosto scorso l’allora capogruppo regionale di “La Puglia con Emiliano”, Paolo Pellegrino, chiedeva che la Regione facesse “un significativo sforzo economico per incrementare l’ordinario budget annuale assegnato alle strutture private accreditate” per fronteggiare il “recupero” delle prestazioni non erogate durante il lockdown. Subito dopo le elezioni, il 23 settembre, il prof Pierluigi Lopalco rilasciava una dichiarazione ad una testata nazionale su cosa avrebbe fatto da prossimo assessore alla salute per ridurre i tempi di attesa: “Abbiamo i tetti di spesa per la sanità privata pugliese e spendiamo 250 milioni l’anno per chi va a farsi curare in altre regioni, anche dai privati. Ragioniamo, senza pregiudizi ideologici. Tutti vorremmo che il pubblico facesse tutto, ma poi c’è la realtà. Lo dico da uomo di sinistra”.

Sembrerebbe quindi che anche in Puglia crescerà il modello che delega ai privati l’erogazione di buona parte delle prestazioni sanitarie. Eppure qualcuno ricorderà che prima del 2000, quando ai lavoratori pubblici della sanità si pagavano le “compartecipazioni” sull’attività ambulatoriale, le liste di attesa non esistevano! E’ una precisa scelta politica e non una necessità, quindi, quella di allocare risorse aggiuntive nel privato piuttosto che nel pubblico. Una scelta che non ha trovato obiezioni, né poteva trovarne, nello schieramento di destra durante la campagna elettorale. L’idea che gli investimenti nel privato siano più fruttiferi è comunque tutta da dimostrare dal momento che in quel contesto nei costi vanno inseriti il supporto e gli utili che nel pubblico sono già pagati, il primo, e non ci sono, i secondi. Potrebbe anche darsi che gli attuali tetti di spesa siano inadeguati alla domanda, ma senza investimenti in strutture e tecnologie pubbliche difficilmente si contrasterà la mobilità passiva.

In Puglia il 21% dei 7 miliardi di fondo sanitario già si spende per acquistare prestazioni da privati rispetto al 26% della Lombardia dove c’è un efficientissimo servizio privato ed un più debole (comunque migliore del nostro) servizio pubblico. La scelta di incrementare la spesa verso l’acquisto da privato non potrà che aggravare i ritardi della nostra sanità pubblica. Il dibattito politico avrebbe dovuto, inoltre, dare una risposta a due questioni fondamentali per la tenuta del sistema, tra loro fortemente intrecciate: i piani di rientro per le regioni in deficit ed il riparto del fondo sanitario. Dal 2011 la Puglia è in piano di rientro, un istituto “infernale” che riduce il trasferimento alle regioni in deficit se non comprimono la loro spesa sanitaria. E’ come chiedere ad una famiglia indebitata di ridurre i costi della spesa alimentare prima che il reddito le sia ridato nella sua interezza!

In questi anni quindi il servizio sanitario pugliese non ha potuto espandersi e recuperare lo storico ritardo rispetto alle regioni settentrionali. Il riparto del fondo sanitario invece segue criteri che privilegiano l’età della popolazione per cui le regioni con più anziani hanno una quota pro-capite maggiore. Mentre il criterio della deprivazione socio-economica, pur vigente e di maggior peso al Sud, non è stato mai applicato. Piano di rientro e riparto così formulati avrebbero dovuto trovare una opposizione strenua delle regioni meridionali, ma finora non si sono visti cambiamenti sostanziali e la situazione continua a vedere la Puglia con 200 € in meno per cittadino nel fondo sanitario rispetto ai connazionali della Liguria e 100 € rispetto al Friuli nel 2017. Il fondo di recupero (209 miliardi) ed il MES (37 miliardi) potrebbero essere utilizzati per azzerare il debito delle regioni meridionali e consentire di ripartire con risorse aggiuntive per colmare il divario strutturale e tecnologico rispetto alle regioni del Nord.

Non sembra, però, di cogliere nel contesto nazionale segnali di inversione di tendenza. Proprio in questi giorni alcune notizie esprimono un prevalente e concorde indirizzo politico per la destinazione di fette sempre maggiori di fondo sanitario pubblico al privato accreditato e non. La prima è la decisione della conferenza Stato-Regioni presieduta dal presidente Bonaccini di accollare alle regioni il 50% percento dell’incremento del rinnovo contrattuale dei lavoratori dell’ospedalità privata e religiosa. La seconda è la nomina dell’arcivescovo mons. Paglia, ministro vaticano per la famiglia, a capo della commissione ministeriale che dovrà riformare l’assistenza alla vecchiaia, una scelta di dubbia opportunità stante il carattere religioso cattolico di molte strutture assistenziali nel settore. La terza è la pubblicità per una assicurazione sanitaria privata da parte dell’attore Alessandro Gassmann, peraltro comunicativamente molto bella, uno spot sorprendente perché trattasi di una famosa assicurazione nata nell’ambito dei partiti di sinistra (quelli della prima Repubblica) il cui prodotto attinge al welfare aziendale, espressione elegante che si riferisce a quote di finanziamento del servizio sanitario pubblico presenti nella tassazione dei redditi dei lavoratori e utilizzate invece per finanziare un’assicurazione sanitaria privata. Lo spot pubblicitario si conclude con un significativo e sorridente “scegli il futuro”. Un futuro non roseo soprattutto per chi non ha lavoro.

Brindisi, 28 settembre 2020  

Articolo pubblicato su “Quotidiano di Puglia” del 1 ottobre 2020 col titolo “Ripreso l’assedio alla sanità pubblica”