L’ 8 marzo l’agenzia ANSA ha diffuso la notizia che “la Asl Bari ha messo a punto un progetto, attivo da gennaio, che rende obbligatori gli screening mammografici per le lavoratrici dell’ospedale San Paolo di Bari dove finora sono 10 i casi di donne, tra i 40 e i 50 anni, che fanno turni di notte e che hanno contratto il carcinoma mammario”. La IARC già nel 2007 ha classificato il lavoro a turni come probabile cancerogeno per l’uomo (Gruppo 2A). E’ importante che una ASL, organizzazione che per missione produce salute, se ne sia accorta. Ci sorprende che abbia messo in atto solo misure di prevenzione secondaria, cioè di diagnosi precoce e non di prevenzione primaria. Ci chiediamo se l’INAIL sia stata informata dei 10 casi di cancro al seno diagnosticati. Pubblichiamo un commento di Vito Totire, medico della prevenzione a Bologna.

 La notizia proveniente da Bari non sorprende; che una organizzazione del lavoro a turni comprendente la notte potesse comportare un rischio cancerogeno era noto da tempo e in effetti i primi riscontri hanno riguardato le donne e il carcinoma mammario; successivamente però si è constatato , a seguito di ricerche epidemiologiche in particolare in Francia, Canada e Svezia,che l’incremento di tumori tra lavoratori turnisti si poteva osservare anche tra gli uomini con particolare riferimento a polmone, vescica, colon-retto, prostata e LNH.

Da subito i riflettori sono stati puntati sul decremento di melatonina causato dallo stato di veglia notturno associato a esposizione alla luce; in senso più lato pare coinvolto il sistema immunitario che un indebolimento dei meccanismi di difesa; il tutto ha condotto la IARC a classificare il lavoro con turni notturni tra i fattori di rischio classificati 2 A (probabile cancerogeno).

La prima rivendicazione della abolizione del lavoro notturno è delle leghe operaie della fine dell’ottocento! I neurologi peraltro hanno sempre definito l’uomo un animale diurno ed il lavoro di notte come certamente e inevitabilmente nocivo per la salute umana; nonostante tutto questo non solo si è assistito nel mondo ad un incremento parossistico del lavoro di notte, legato non a motivazioni oggettive, ma a esigenze produttivistiche; piuttosto l’Italia è sempre stata “rimproverata” di essere tra i paesi che hanno resistito eccessivamente alla domanda di organizzazione del lavoro 24/24 ore!

In questo contesto giunge la iniziativa di Bari; cosa dire:

  • Positivo che i dati vengano diffusi
  • Inaccettabile che si punti solo sulla diagnosi precoce
  • Tutti gli interventi finalizzati alla diagnosi precoce devono essere svincolati dall’approccio degli esami coatti; le lavoratrici hanno motivo e dati sufficienti per aderire volontariamente a programmi di monitoraggio
  • Oltre che a diagnosi precoci occorre una riorganizzazione ergonomica del lavoro, peraltro obbligatoria per legge, che possa mitigare gli effetti del distress e del lavoro notturno davvero non eliminabile (in effetti il lavoro in ospedale è tra i pochi comparti in cui una certa quota di lavoro notturno è inevitabile, ma la fatica può e deve essere bilanciata da altre forme di recupero e non solo fronteggiata con tentativi di diagnosi precoce) ;ovviamente in relazione alle forme di compenso (più ferie, più riposi, ecc.) occorre ben valutare l’abituale carico di lavoro domestico per le donne la cui gravosità, in tutto il mondo, è una costante sia pure differenziata tra le diverse aree
  • Pare rimosso il problema del riconoscimento di causa professionale per le donne e per gli uomini, soprattutto se consideriamo che gli organi bersaglio individuati dalla IARC sono colpiti spesso da alte concause oncogene trascurate o considerate, da qualcuno, “insufficienti”
  • Occorre adottare un piano sistemico e generale di prevenzione del lavoro notturno “evitabile” anche diffondendo la consapevolezza della sua nocività per la salute

Come concludere?

Alle donne lavoratrici menzionate nella osservazione un sincero augurio di guarigione che, come sappiamo, è ben possibile; agli osservatori e addetti al lavoro di prevenzione: cerchiamo di essere più lungimiranti, di puntare anche e soprattutto alla prevenzione primaria, di fare affidamento non sugli obblighi ma sulla piena consensualità; comunque, grazie per averne parlato ed aver diffuso i dati; meglio prevenire che rimuovere.

Vito Totire

Bologna, 9 marzo 2018