di Vito Totire*

Siamo in un paese “schizofrenogeno” in cui non sono a rischio poche persone (che sarebbe già molto grave) ma siamo a rischio tutti. La notizia diffusa ieri sera da Radio Carcere fa rabbrividire: solo pochi giorni fa avevamo denunciato la presenza, ancora una volta, di una bambina nel carcere di Bologna; la denuncia-contenuta nelle osservazioni al rapporto semestrale sul carcere redatto dalla Ausl locale, è passata “inosservata” non certo per le persone e le associazioni a cui è stata notificata, ma per gli organi di informazione impegnati evidentemente su temi che hanno ritenuto più importanti; la disponibilità – su chiamata – del pediatra, citata dall’ultimo rapporto semestrale che abbiamo commentato, indica chiaramente che “la detenzione del minore si può praticare” anche se la legge non lo consente.

Il ministro Orlando aveva assicurato: “entro il 2015 più nessun bambino in carcere!”; poi si è verificato il caso a Catania di un bambino che ha mangiato del topicida sparso nel carcere, mentre la sua mamma faceva la rituale telefonata periodica concessa dal regolamento penitenziario; per mera fortuna l‘evento non ebbe conseguenze mortali.

Non vogliamo proporre nessuna “semplificazione”; eventi tragici come quello di Rebibbia accadono anche “fuori”; anche “fuori” ci sono possibilità di prevenzione spesso omesse il che lascia la persona in balia della sua disperazione e della sua solitudine; ma il tragico evento di Rebibbia è diverso, anche se non ha senso fare scale di gravità.

Nella vicenda di Rebibbia la donna pare fosse in attesa di un colloquio psichiatrico; molto verosimilmente vi erano le condizioni per la libertà provvisoria per motivi di salute; un percorso da sempre praticabile ma che secondo i giuristi avrebbe potuto essere ulteriormente facilitato da quel nuovo regolamento penitenziario che invece il parlamento ha recentemente irresponsabilmente bocciato.

Ovviamente questo lutto apre la voragine sul tema della gestione del disagio psichico in carcere che si sta malamente cercando di affrontare con inverosimili “sezioni psichiatriche” dimenticando e “sorvolando” sui contenuti della legge 180/1978 e del movimento antipsichiatrico di Basaglia /Antonucci e di migliaia di altri protagonisti della lotta contro i manicomi.

La mamma di Rebibbia avrebbe potuto essere collocata in una Rems? E’ possibile anche questo ma quello che è massimamente assurdo è che ancora una volta constatiamo la presenza “illegale” di bambini in carcere, un ambiente che con la sua costrittività psichica e fisica è foriero dei peggiori pensieri, delle peggiori angosce, delle peggiori disperazioni. La “mamma di Rebibbia” è di lingua tedesca, di origini extraeuropee. Le norme di legge che Stato e istituzioni hanno violato si riferiscono alla necessità di collocare i bambini – anche ovviamente in assenza di particolari problematiche di salute della madre e a seconda della sua posizione giudiziaria (ma si sa che nella quasi totalità le posizioni di riferiscono ai cosiddetti reati di basso profilo giuridico o addirittura “bagatellari”), e di collocare le madri con bambini in strutture sostanzialmente decarcerizzate come gli ICAM^ o, meglio, case protette.

Nella vicenda di Rebibbia una delle poche esperienze di accoglienza extra-carceraria (a Roma, la Casa di Leda realizzata con enormi sforzi non dalle istituzioni ma dal volontariato) vede in questi giorni tre posti vacanti. Non si poteva collocare la “mamma di Rebibbia” in uno di questi?

Un appello ai cittadini di gridare forte il loro sdegno per quello che è successo; ed al presidente della Repubblica on. Mattarella di dichiarare il lutto nazionale per la morte di Rebibbia.

*psichiatra, a nome di circolo “Chico” Mendes e Centro per l’alternativa alla medicina e alla psichiatria “F. Lorusso” via Polese 30 40122-Bologna

^ Istituto a Custodia Attenuata per Madri

Bologna, 19 settembre 2018