Di Michele Lospalluto

Lo stato in cui versa la nostra sanità, a partire dalla nostra Regione Puglia, è inaccettabile, a volte disastroso, non per mancanza di professionisti bravi, che pure ci sono, ma per problemi organizzativi e gestionali. Accadono fatti che mettono in seria discussione le buone pratiche in medicina e soprattutto la deontologia del medico. E’ buona pratica ed è deontologico rifiutarsi di visitare un paziente affetto da malattia grave, che chiama il medico di famiglia perché ha febbre? E’ buona pratica ed è deontologico dettare la terapia per telefono, senza aver visitato il paziente, anche in questo periodo di pandemia? Quali ragioni inducono, il medico di famiglia e peggio il medico ospedaliero che l’ha in cura per la sua grave patologia, a comportarsi con questo rifiuto? Io che ho lavorato per più di 42 anni nella sanità, ho sempre appreso, da insigni clinici, ma anche da quelli meno insigni, che il paziente va visitato, inquadrato in una ipotesi di diagnosi e poi sottoposto a terapia. Queste sono le buone pratiche e il comportamento corretto dal punto di vista deontologico. Il medico di famiglia e quello ospedaliero hanno rispettato il protocollo, semmai esistesse? Ovvero si sono rifiutati di visitare un paziente con febbre, per paura del contagio, perché per via della febbre è sospettato di essere stato contagiato da coronavirus? Se fosse questa la giustificazione del rifiuto, perché non hanno attivato tutte le procedure per accertarsene? Informando le istituzioni preposte a sottoporre il “cliente” (uso questo termine per chiare ragioni, la salute ancora oggi è una merce) a tampone o a test sierologico, o a consigliarlo, lasciando il malato insieme alla famiglia, alla presenza di una bambina di due anni, con gravi rischi di contagio. Se il sospetto è il motivo della mancata visita, non mi pare ci possano essere altri motivi, è grave non preoccuparsi e non attivarsi per prevenire il rischio di un contagio famigliare. Ma quello che impressiona ancora di più è il comportamento dello specialista ospedaliero, che intima ai parenti di non portarlo in ospedale e di fargli eseguire un emocromo. Alla domanda ma a chi ci rivolgiamo dove andiamo? La risposta è stata: “andate da un laboratorio qualsiasi chiamate un infermiere a casa e poi mandate l’esame per fax”. Quindi un tutto “fai da te”, senza remore senza un minimo di umanità. Questa sarebbe la medicina moderna del terzo millennio, quella a distanza? Lo chiedo al rappresentante dell’ordine dei medici di Altamura e lo chiedo al Direttore Generale della nostra ASL BA. La medicina a distanza, la sua tecnologia, deve essere strumento di supporto, non può sostituire il rapporto medico-paziente, perché alla base di questo rapporto, prima della diagnosi e cura, c’è la relazione umana, e non mi pare che in queste procedure ci sia qualcosa di umano. Questi comportamenti trasmettono tanta sfiducia al malato, che in questo caso non solo deve combattere contro la malattia, ma contro tutto e tutti, fino al punto da interrogarsi: ne vale la pena fare questa battaglia disperata per sopravvivere qualche mese in più? A voi istituzioni la risposta, a me ancora la battaglia per umanizzare il rapporto anche durante il coronavirus ed evitare che il medico si trasformi in un semplice impiegato prescrittore. Viviamo veramente in un paese strano. Non è chiaro perché non è più possibile chiedere prescrizioni di farmaci da parte del paziente già in cura, attraverso il supporto informatico, un semplice codice inviato alla farmacia scelta dallo stesso (fascicolo sanitario elettronico). Questa modalità di prescrizione, che semplifica e migliora il rapporto paziente-medico, eliminando la fila dal medico e quindi l’affollamento, sperimentato in piena pandemia, non è chiaro perché è stata soppressa. Ma è veramente strano il nostro paese, quando è possibile far svolgere un servizio a distanza, usando l’informatica a supporto non lo fa, forse perché è più facile tenere sotto controllo le prescrizioni?

Altamura, 10 luglio 2020