Un muratore di origine romena di 52 anni, Vasile Burcut, è morto in seguito a un infortunio sul lavoro verificatosi in un cantiere edile di via Carso a Ravenna. L’incidente risale alle 15 circa di venerdì scorso, ma la notizia si è diffusa solo nella giornata di domenica 6 febbraio.

Di Vito Totire

La morte sul lavoro di Vasile Burcut deve scuotere “definitivamente” le coscienze e deve indurre a passare ai fatti, oltre le dichiarazioni di principio; Ravenna , città martire, non ha mai rimarginato né rimosso la ferita del 13 marzo 1987 (strage della Mecnavi); da allora omissioni, parole al vento, lacrime di coccodrillo, non hanno fermato – né potevano farlo – uno stillicidio continuo di morti che ha assunto le dimensioni di una guerra, peraltro, apertamente dichiarata; le ultime misure del governo Draghi non hanno cambiato la sostanza del “problema”; certo che noi non siamo contrari, anzi siamo assolutamente favorevoli, all’aumento delle attività ispettive, ma da un lato questo incremento deve essere consistente e soprattutto mirato, dall’altro il nocciolo della questione rimangono i rapporti di potere sul luogo di lavoro tra operai e padrone; se non cambiano questi rapporti (a favore della classe operaia) e i lavoratori rimangono fruitori passivi di vigilanza esterna (speriamo fortemente potenziata), certo gli infortuni mortali potranno calare ma il nostro obiettivo è raggiungere lo zero.

Quello che poi “vediamo” ogni giorno è solo la punta dell’iceberg; questa settimana abbiamo notificato alla Procura della Repubblica di Ravenna il decesso di un operaio del Petrolchimico già esposto a cancerogeni (avevamo già notificato lo stato di malattia) ; con gli organi di vigilanza si fa fatica a raccogliere dati e informazioni su rischi pregressi sui quali “nessuno ha indagato”; per non parlare dell’Inail che, nella ricostruzione dei rischi, non si affida-interpellandoli- agli organi di vigilanza ma “si fida” del datore di lavoro e del suo “medico competente”;

ora con la morte di Vasile Burcut a Ravenna dobbiamo tirare il freno di emergenza; occorre una inchiesta giudiziaria ma anche popolare “dal basso” in cui (quella giudiziaria) dobbiamo entrare come parte civile per propiziare una indagine sull’infortunio mortale che non si limiti ai fattori fisici dell’infortuni ma indaghi anche su quelli organizzativi ed ergonomici;

che non si applichino gli stessi parametri che hanno portato alla archiviazione dell’infortunio mortale accaduto sulla tangenziale di Bologna il 6 agosto 2018;

cosa significa lavorare su una impalcatura per un over cinquantenne?

cosa significa un infortunio di venerdì pomeriggio? quante ore settimanali di lavoro ha sopportato Vasile? quante ore di pendolarismo? è stata fatta una esaustiva  valutazione del distress come previsto dall’art.28 del TULS 81/2008 che indica la necessità di considerare anche l’età in relazione alla fatica e alle performances lavorative umanamente possibili ? Nessuna “assuefazione” alla morte sul lavoro!

Nessun silenzio sula riduzione della speranza di salute dei lavoratori sacrificata cinicamente e consapevolmente ogni giorno al profitto! Poiché poi non possiamo tacere sulla vicenda amianto/Enichem. Nessun silenzio su una magistratura che prima assolve “per non aver commesso il fatto”, poi perché “il fatto non costituisce reato”, infine perché “IL FATTO ESISTE MA NON SAPPIAMO CHI E’ IL COLPEVOLE”

11 febbraio 2022