Pubblichiamo una indagine conoscitiva condotta dal Centro Studi per il Benessere Lavorativo di Bologna (dott. Vito Totire) effettuata su richiesta di un gruppo di lavoratori part-time di un call-center.”I sintomi rilevati si collocano nel range del disagio lavorativo sintomatologicamente scompensato in ben 25 persone su 48; questo significa che più della metà dei lavoratori presenta un quadro di disagio occupazionale evidente anche dal punto di vista dei sintomi; molto più marcato lo sbilanciamento nei maschi (7 su 8!). Più del 50% (33 persone) vivono in maniera molto frustante la propria attività. 34 persone evidenziano una percezione soggettiva-a prescindere o a conferma di quanto emerso dalla valutazione della scala dei “sintomi”- che necessita l’ adozione di azioni di miglioramento. Circa l’uso di psicofarmaci Il quadro appare frastagliato e complesso; abbiamo un numero di utilizzatori di psicofarmaci, in termini di uomo-equivalente che giunge a 17 unità su 49 persone; occorre tenere conto peraltro che , senza l’uso di questi farmaci, gli indici di distress rilevabili dalla scala dei sintomi (indici come abbiamo visto, già molto preoccupanti ) sarebbero molto più alti; se proviamo a confrontare questi dati con riscontri epidemiologici nazionali emergono elementi di preoccupazione che inducono e rendono ancora più urgente interventi per la bonifica delle costrittività organizzative complessivamente emerse; l’evidenza del distress è stata di tale entità da “travalicare” in opere letterarie, teatrali e cinematografiche; nel culmine della condizione di disagio per descrivere la situazione venne coniato il termine di “pollaio telematico”; “pollaio telematico” è la foto realistica che si addice alla condizione che abbiamo monitorato.”

Indagine conoscitiva sullo stato di benessere di un gruppo di lavoratori part-time di un call center-Prima lettura dei riscontri emersi

Premessa

E’ emersa una istanza , da parte di alcuni lavoratori di un call center di monitorare lo stato di benessere di un gruppo omogeneo di persone addette (part-time) ad attività in “risposta”;

l’elemento che ha catalizzato questa istanza è stato la abolizione di una pausa precedentemente rispettata e poi , per l’appunto ,abolita;

benché, quantomeno all’inizio, la committenza sia stata formulata da alcuni portavoce informali di questo gruppo di lavoratori, la dinamica della committenza risponde comunque ai criteri previsti dall’art.9 della legge 300/1970.

E’ stato proposto di utilizzare come strumento di indagine un questionario modello Karasek modificato da Totire; hanno ricevuto il questionario 61 tra lavoratrici e lavoratori, hanno risposto in 49 di cui 8 maschi e 40 femmine; una persona non ha dichiarato il genere di appartenenza; l’età media è risultata molto simile in relazione alla differenza di genere: 41.3 anni nei maschi,43.8 nelle femmine.

Vediamo cosa è emerso incrociando alcuni gruppi di risposte; potranno essere effettuati ulteriori approfondimenti.

Dati emersi

Sintomi: si collocano nel range del disagio lavorativo sintomatologicamente scompensato ben 25 persone su 48; questo significa che più della metà dei lavoratori presenta un quadro di disagio occupazionale evidente anche dal punto di vista dei sintomi; molto più marcato lo sbilanciamento nei maschi (7 su 8!);

Vincolatività/costrittività; situazione molto grave: percezione di grave disagio per la quasi totalità delle persone (tutte meno 2); dunque pur in presenza di una percezione quasi unanime di alta costrittività una parte dei lavoratori riesce , evidentemente grazie a particolari strumenti di coping o grazie ad una esposizione meno lunga dal punto di vista anamnestico, a rimanere fuori dal range della evidenza sintomatologica di distress.

Percezione di sovraccarico: percezione generalizzata (di tutti!) di eccessivo sovraccarico; risposte collocate al 100% ai gradi estremi del range del distress lavorativo

Domanda di cambiamento: domanda di cambiamento molto forte; la quasi totalità esprime una domanda di cambiamento (superiore alla mediana del range delle risposte peculiari del distress lavorativo, anche se non ai gradi estremi che abbiamo visto circa la percezione di sovraccarico e la percezione di vincolatività/costrittività); è possibile che a questo quadro concorra l’orientamento di una parte dei lavoratori a considerare la situazione immodificabile

Domanda di vigilanza: risposte poco significative in quanto abitualmente sovrapponibili ai gruppi di controllo

Chiarezza dei ruoli: controtendenza rispetto agli altri gruppi di risposte; la percezione di scarsa chiarezza e di cattiva supervisione riguarda soltanto 7 persone (in questo caso la situazione è più insoddisfacente per le donne : 6 casi a 1)

Rischi: risposte, come abitualmente, poco significative

Chiuso il quadro di quanto emerge dai dati accorpati per gruppi di risposte , vediamo quello che emerge da alcune letture trasversali della singola risposta data dall’insieme dei lavoratori:

SS 1-Quanto è avvertito il distress:

10 persone si collocano alla risposta 5)-MOLTISSIMO

14 persone si collocano alla risposta 4)-MOLTO

IN TOTALE 24 PERSONE, la metà degli intervistati percepisce anche soggettivamente e coscientemente una situazione di distress

SS 3-Quanto sei soddisfatto del tuo attuale lavoro

17 persone sono moltissimo insoddisfatte-risposta 5)

16 persone sono abbastanza insoddisfatte-risposta 4)

14 persone non sono né soddisfatte né insoddisfatte – risposta 3

3 persone si collocano alle risposte 2) e 1)

Complessivamente dunque più del 50% (33 persone) vivono in maniera molto frustante la propria attività

SS4 –Quanto dovrebbe cambiare la situazione lavorativa per essere completamente soddisfatti:

20 persone rispondono :moltissimo-risposta 5)

19 persone rispondono :abbastanza-risposta 4)

8 persone rispondono: fino ad un certo punto –risposta 3)

2 persone rispondono : molto poco-risposta 2)

1 sola persona risponde: per niente-risposta 1)

Possiamo dedurre quindi che questo lavoro, almeno per come è organizzato oggi, risulta soddisfacente per una sola persona su 49 !

Vediamo alcuni riscontri relativi alla percezione dell’ambiente fisico analizzando le risposte alla domanda e 35:

20 persone definiscono l’ambiente sgradevole o abbastanza sgradevole; non trattandosi di una fonderia ma di uffici il dato pare rilevante;

se andiamo a vedere i fattori di disagio maggiormente percepiti (la “fotografia” rappresenta un efficace spunto per il datore di lavoro, per il SPP ed il medico competente al fine di delineare azioni di miglioramento) sono:

  • sovraffollamento (33 persone);
  • rumore (43 persone);
  • microclima (29 persone);
  • illuminazione (27 persone);

circa il quesito SS1 (quanto ti senti sottoposto ad una condizione di distress) la distribuzione alle risposte è stata la seguente:

10 hanno siglato la risposta 5)-moltissimo

11 hanno siglato la risposta 4)-molto

13 hanno siglato la risposta 3)-fino ad un certo punto;

dunque 34 persone evidenziano una percezione soggettiva-a prescindere o a conferma di quanto emerso dalla valutazione della scala dei “sintomi”- che necessita la adozione di azioni di miglioramento;

Sul fumo di sigaretta

L’abitudine al fumo coinvolge nove persone, sette donne e due uomini; una incidenza apparentemente bassa del tabagismo rispetto alla media della popolazione ma occorre tener conto del fatto che la grande maggioranza del gruppo omogeneo è costituito da donne; ad ogni modo un lavoratore sui due maschi che fumano e 5 sulle sette donne fumatrici individuano nel distress lavorativo una causa o concausa del comportamento; gli altri dichiarano di ritenere ininfluente il distress lavorativo.

Sull’uso di psicofarmaci

Il quadro appare frastagliato e complesso; abbiamo un numero di utilizzatori di psicofarmaci, in termini di uomo-equivalente che giunge a 17 unità su 49 persone;

la distribuzione del fenomeno è alquanto frastagliata:

in 5 fanno uso di antidepressivi (1 dichiara solo che ne fa uso; 3 che ne fanno uso saltuario; 1 che ne fa uso regolare);

in 7 usano tranquillanti di cui 2 regolarmente e 5 saltuariamente;

in 5 fanno uso di sonniferi: 2 regolarmente e 3 saltuariamente;

una persona fa uso sia di antidepressivi che di sonniferi che di tranquillanti sempre, per tutti i casi, saltuariamente;

un’altra persona invece usa tutte e tre le specialità farmacologiche regolarmente;

complessivamente 41 persone non usano psicofarmaci, 8 li usano, in varie combinazioni quali-quantitative ;

non è semplice leggere questi dati ,salvo che sono una conferma degli alti livelli di distress al quale questi lavoratori sono sottoposti;

occorre tenere conto peraltro che , senza l’uso di questi farmaci, gli indici di distress rilevabili dalla scala dei sintomi (indici come abbiamo visto, già molto preoccupanti ) sarebbero molto più alti;

se proviamo a confrontare questi dati con riscontri epidemiologici nazionali emergono elementi di preoccupazione che inducono e rendono ancora più urgente interventi per la bonifica delle costrittività organizzative complessivamente emerse;

dal raffronto con dati raccolti dal CNR di Pisa emergono alcune possibili inferenze:

% di utilizzatori di sonniferi 10 % nel nostro campione (10% campione CNR);

% di utilizzatori di tranquillanti 14,2% nel nostro campione (12,5% campione CNR)

% di utilizzatori di antidepressivi circa 10% nel nostro campione (5 % nel campione CNR);

complessivamente dobbiamo considerare la situazione critica per alcuni motivi: a) il campione di riferimento del CNR è la popolazione generale , compresa quella anziana, nel nostro caso invece è popolazione adulta in condizione lavorativa, come abbiam visto con età media attorno ai 42 anni ; 2) i dati del CNR sono stati comunque commentati dalla comunità scientifica come dati che fotografano un eccesso inaccettabile di consumo di psicofarmaci , peraltro, correlato , anche nella popolazione generale, a condizioni di distress; 3) dai dati del CNR (a prima vista ) non si desumono riscontri riguardanti l’uso contemporaneo di più psicofarmaci da parte della stessa persona; saranno comunque utili ulteriori approfondimenti.

Annotazioni individuali

Una delle variabili introdotte nel questionario Karasek modificato è lo spazio per le eventuali osservazioni personali; questa decisione avvicina la somministrazione del questionario alla “riunione di gruppo omogeneo”; ognuno, se ne avverte la opportunità, contribuisce al lavoro di indagine con delle osservazioni ; vero è che questo non avviene in modo corale (ognuno scrive per sé), ma le osservazioni tornano poi al gruppo e possono essere occasione di ulteriori approfondimenti.

A partire dalla 49 persone che hanno compilato il questionario 8 hanno aggiunto delle osservazioni; alcuni hanno fatto osservazioni brevi altri più articolate; seguiamo la sequenza convenzionale dei numeri attribuiti nella lettura:

Q 11 (questionario 11) :

Essendo un call center i ritmi le decisioni seguono procedure disumane; si è solo delle macchine che devono produrre a oltranza ; la socializzazione è inibita come la libera iniziativa; si deve obbedire a delle regole spesso contraddittorie ,illogiche e senza senso.

Q 14 (questionario 14) :

è molto stressante, preoccupante(spesso deprimente) il fatto che l’azienda veda in noi operatori del call center solo come un PROBLEMA DA ELIMINARE non come una risorsa umana lavorativa per la stessa; inoltre la ripetitività del tipo di lavoro per così tanti anni lo rende assimilabile solo al lavoro in “catena di montaggio” degli operai degli anni ’70 con tutte le problematiche ed i rischi già ben noti.

Q 19 :

Sono part time 50% e non ho diritto a pause quindi sto sempre davanti a un monitor con gente che mi urla nelle orecchie sia al telefono che nella stanza piena di colleghi.

Q 24:

Patologie acquisite negli anni: gravi contratture cervicali, tensioni zona trapezio, dolori cronici mani e polsi dovuti a posizioni da mantenere per molte ore da 16 anni, queste contratture portano a frequenti mal di testa invalidanti che mi portano occasionalmente ad assentarmi; per questo l’azienda mi accusa di assenteismo(stiamo parlando di una decina di giorni all’anno) ;

non esiste nessuna azienda al mondo in cui per 16 anni continui a fare sempre lo stesso lavoro senza possibilità di crescita e senza tenere in considerazione la crescita del CV (curriculum vitae) per studi e competenze ; questo è frustrante ,deprimente e umiliante; ho interrotto la terapia psichiatrica perché …(non aggiunge altro)

Q 25

Maggiori possibilità di incidere sulle decisioni e indirizzi aziendali.

Q 26

I vertici della azienda non hanno idea di come venga svolto il mio/nostro lavoro, eventuali lamentele non riescono ad arrivare alla loro attenzione, dunque non è presente neanche la speranza che le cose migliorino.

Q 34

  • Chiamata dopo chiamata è via via più difficile rimanere sereni e lucidi di fronte alle richieste ed ai reclami dei clienti in un open- space rumoroso
  • Aumenta cioè progressivamente il carico emozionale/stress che oltre agli altri elementi tipici del lavoro da videoterminalista rende le chiamate difficili da gestire vista anche per i PT 50 la soppressione della pausa
  • La frammentazione dei clienti/delle chiamate tra diversi out sourcer italiani/stranieri fra diversi gruppi specialistici “palleggia” i clienti e li manda in bestia perché i problemi non possono essere risolti dato che il gruppo competente è un altro
  • I ritmi di lavoro sono troppo elevati : a) per il numero di chiamate che ci viene richiesto di prendere ogni ora b) per poter gestire con cura un cliente in modo da lavorare senza affanno, senza i rischio di errori per precipitazione , per illustrare/motivare in maniera esauriente offerte e scelte commerciali dell’azienda/per ragionare col cliente sulla scelta più adatta al suo caso;
  • a questo va aggiunto: 1) i frequenti guasti dei programmi con cui lavoriamo; 2) i richiami del capoufficio a voce ,via e-mail o in entrambi i modi; 3) la difficoltà a consultarsi con i colleghi pure in cuffia; 4) per i PT 50% la soppressione della pausa 626; 5) la mancanza di adeguata formazione su alcuni degli argomenti su cui rispondiamo, 6) le pressioni sul raggiungimento degli obiettivi nei due briefing mensili di gruppo

Q 49

Necessaria pausa non più autorizzata per il riposo fisico e mentale

Ulteriori informazioni raccolte extra-questionario

Abbiamo raccolto ulteriori informazioni significative a riguardo di altre occasioni e motivi di distress da fonti diverse dal questionario.

Sono motivi di “irritazione” per i lavoratori (o, quantomeno, per alcuni o molti di loro:

  1. il mancato riconoscimento come orario di lavoro del tempo che intercorre tra l’entrata nei locali aziendali, il superamento degli stornelli e la effettiva attivazione informatica della postazione di lavoro; a questo proposito alcuni lavoratori-extra-questionario-hanno riferito la percezione/constatazione di una discriminazione che accomuna i lavoratori dei CARING SERVICE ; quasi un “distintivo” che pare accomunare i lavoratori “collocati (ha riferito un operatore con termini molto suggestivi) sul trampolino di lancio della esternalizzazione “.
  2. la inadeguatezza del tempo disponibile per il necessario aggiornamento sulle notizie aziendali ;
  3. la prassi adottata dal datore di lavoro il quale non dispone che alla pulizia dei piani di lavoro provveda personale incaricato ad hoc; è stata riferita la incidenza di casi di alcuni casi dermatite che , se rilevanti clinicamente, avrebbero dovuto opportunamente essere segnalate all’organo di vigilanza; benché il nesso di causa , per come i casi sono stati “genericamente” riferiti, possa essere messo in dubbio, pur ammettendo (per ipotesi che comunque pare improbabile ) di poter escludere la causa lavorativa , la dinamica dei fatti è comunque motivo di distress psicologico e il datore di lavoro deve immediatamente riempire questa lacuna organizzativa e igienistica.

 

Osservazioni

Una delle questioni più importanti che si volevano approfondire era valutare se le modalità di organizzazione del lavoro (in particolare il fatto che la prestazione lavorativa part-time consentisse di contenere il livello di distress e di insoddisfazione entro limiti “accettabili”) ; ovviamente sarebbe stato utile avere a disposizione risposte a questionari somministrati anche prima della abrogazione della pausa;

altrettanto sarebbe utile somministrare i questionari anche ai lavoratori full-time;

si potrebbe persino monitorare col sistema Holter la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna dei lavoratori ma i dati emersi dai questionari sono di per sé molto indicativi;

fondamentalmente comunque, anche se non abbiamo il quadro quo ante è assolutamente certo che la soppressione dalla pausa abbia peggiorato la situazione e la percezione, in particolare, per alcuni gruppi di risposte come , essenzialmente, quelli accorpati nella scala dei sintomi, nella scala della percezione di vincolatività e nella scala riguardante la percezione di sovraccarico.

Sugli indici di soddisfazione e di distress paragonati ad altri gruppi omogenei presi in esame

In che misura i lavoratori siano soddisfatti del loro lavoro è una questione che nei vari periodi sociali e storici fa fotografare condizioni molto diverse; tra il lavoro schiavistico e quello auspicato da Primo Levi nella sua opera “La chiave a stella” c’è una vasta gamma di condizioni;

un interessante contributo a questo tema ci viene da uno psichiatra francese (vedi bibliografia) che cita dati riguardanti alcune coorti di lavoratori definendo un quadro di disagio che coinvolge il 30% degli addetti come un quadro “patologico” e comunque meritevole di un intervento di bonifica/miglioramento; secondo Servan Schreiber con tecniche di rilassamento psicofisico tese a ripristinare condizioni di “coerenza cardiaca” la popolazione lavorativa ha visto passare la percentuale degli “ansiosi la maggior parte del tempo” dal 33% al 5%; quella degli “scontenti” dal 30 al 9%,quella dei “risentiti” dal 20 all’8%; è ovvio che il ricercatore citato si riferisce a tecniche utilizzabili a fronte di una organizzazione immodificabile e che nel caso di TIM risultati analoghi debbano essere perseguiti con interventi di decostrizione organizzativa (senza mettere in discussione la utilità delle modalità di intervento proposte da Servan Schreiber per affrontare ulteriori problematiche sopravvissute (evidentemente in misura estremamente ridotta) agli interventi di miglioramento organizzativo.

è da ritenersi che i tassi di insoddisfazione registrati in questo nostro gruppo omogeneo di lavoratori individuino dunque una situazione assolutamente inaccettabile non solo dal punto di vista etico e sociale ma anche dal punto di vista ergonomico: pare di poter dire che al “datore di lavoro” sia “sfuggito” l’imput che pure il legislatore gli ha dato in maniera esplicita fin dai tempi del decreto 626/1994 quando, con l’articolo 3 si precisava l’obbligo di riorganizzazione ergonomica “anche al fine di superare il lavoro monotono e ripetitivo”;

questo datore di lavoro non ha tenuto in considerazione questo imput, quanto meno, non adeguatamente.

Premessa alle conclusioni

In questa sede viene fornita una breve e prima lettura dei dati emersi che saranno oggetto, assieme ai lavoratori, di lettura approfondita;

la questione che stiamo affrontando non è certo nuova ed è stata oggetto di indagini, proposte di miglioramento e anche di disposizioni da parte di organi pubblici preposti alla vigilanza sulla salute dei lavoratori; quel che occorre lamentare è piuttosto un calo di attenzione su questi temi nonostante, fatto teoricamente paradossale, il varo del TULS decreto 81/2008 col suo esplicito riferimento all’obbligo di valutare le condizioni di distress.

Conclusioni

A partire dalla situazione molto critica che abbiamo fotografato non solo occorre ragionare concretamente sulle azioni di miglioramento da adottare ma occorre fermare alcune “innovazioni” organizzative che sono state ventilate che potrebbero, se messe in atto, comportare un ulteriore incremento dei livelli di costrittività/vincolatività.

Il quadro emerso appare uno dei “peggiori” tra quelli indagati negli ultimi 15 anni in Italia e nel mondo anche se confrontati (questo il dato più preoccupante) con attività lavorative a tempo pieno.

Riteniamo che uno degli elementi che ostacolano il cambiamento consista nel fatto che quasi sempre dei danno alla salute causati dal distress occupazionale i datori di lavoro non vengono chiamati o condannati a risarcire, questo anche “grazie” ad una sorta di muro di gomma garantito dall’Inail che vorrebbe anche rifiutarsi di discutere dell’infarto del miocardio come patologia a potenziale eziologia occupazionale.

Occorre, a nostro parere:

  1. Ripristinare la cosiddetta “pausa 626”; evidentemente una pausa è necessaria dopo un certo lasso di tempo trascorso in attività anche a prescindere dal carico orario quotidiano complessivo; questo ripristino porterebbe peraltro ad un ricalcolo delle presunte “eccedenze” di personale che il datore di lavoro ha unilateralmente stimato;
  2. Migliorare le informazioni necessarie a gestire la domanda degli utenti
  3. Migliorare il clima relazionale e l’ambiente fisico utilizzando come guida per la realizzazione delle azioni di miglioramento le risposte date dai lavoratori ; ci si chiede se sia “credibile” gestire un gruppo di lavoro i cui componenti lamentino livelli così elevati di disagio non solo per fattori di rischio organizzativi ma anche per fattori di rischio fisico! Se la medicina occupazionale prevede un certo numero di “insoddisfatti” (si pensi all’indice di Fenger sul microclima), nel nostro caso il numero di “insoddisfatti” è esorbitante perché questa organizzazione possa essere considerata , attualmente, “sana” e connotata da un minimo ragionevole di “benessere organizzativo”
  4. Aggiornare la valutazione del rischio distress ai sensi dell’art.28 del decreto 81/2008, integrando i riscontri dei dati oggettivi con quelli derivanti dalla soggettività del gruppo (o dei gruppi) omogeneo;
  5. Garantire per tutti modalità effettive di “sviluppo di carriera”
  6. Ridefinire un nuovo equilibrio tra carico/autonomia/ricompensa (secondo i modello Karasek sulla lettura del distress) che ribalti la situazione attuale
  7. Evitare la introduzione di “innovazioni” che comportino e rischino di comportare nuovi elementi ansiogeni o di distress quali i cosiddetti controlli sulla produttività ad personam.

Complessivamente possiamo asserire che la organizzazione per come “fotografata” non corrisponde ai requisiti “minimi” previsti dagli art.28, 174 e 175 (compreso l’allegato XXXIV) del decreto 81/2008.

Siamo a disposizione per l’approfondimento ed il confronto costruttivo con tutti i soggetti interessati (in primis con i lavoratori e le lavoratrici appartenenti al gruppo omogeneo degli intervistati) già a partire da queste prime osservazioni che saranno oggetto di ulteriore approfondimento al fine di valutare le ulteriori inferenze desumibili dalla lettura dei dati raccolti.

Si rileva infine che le osservazioni fatte sono coerenti con quanto già ampiamente emerso dalla letteratura scientifica circa distress ed ergonomia nei call-center; l’evidenza del distress è stata di tale entità da “travalicare” in opere letterarie, teatrali e cinematografiche; nel culmine della condizione di disagio per descrivere la situazione venne coniato il termine di “pollaio telematico”; “pollaio telematico” è la foto realistica che si addice alla condizione che abbiamo monitorato;

La azienda in questione aveva ricevuto precise disposizioni sul tema; la congruità di queste disposizioni era stata peraltro confermata da ulteriori indagini autogestite dalla azienda stessa in altre sedi; nonostante questo si deve prendere atto che non c’è stato alcun miglioramento a prescindere dalla questione giuridico formale (in verità anche sostanziale) che riguarda il seguente quesito: il datore di lavoro di oggi ha “ereditato” gli obblighi del datore di lavoro “precedente” che ricevette le disposizioni?

Se l’eredità c’è quelle disposizioni, all’epoca non oggetto di ricorso al presidente della Regione, rimangono vincolanti con quello che ne consegue.

 

Centro studi per il benessere lavorativo

-Associazione di volontariato_

Direttore dr.Vito Totire, medico del lavoro/psichiatra

Via Polese 30 40122 Bologna

 

N.B. Come già riferito la attività è stata condotta dal Centro studi nell’ambito di una committenza ai sensi dell’art.9 della legge 300/1970; la attività è stata prestata come attività di volontariato.

Bologna,24.8.2015

Bibliografia

Bruno Maggi, Lavoro organizzato e salute, Tipografia Compositori, 1991

Guida sullo stress legato alla attività lavorativa , UE, 1999 Bruxelles

David Servan-Schreiber, Guarire, ed. Sperling e Kupfer p.65

Vito Totire, Report sulla attività dell’Ambulatorio disagio lavorativo, 2003 ed .Sirs