Di Uberto Tupone

Durante la mia pluriennale esperienza quale malato psichiatrico ho girato varie strutture residenziali e ho incontrato moltissimi ospiti, operatori, medici con i quali abbiamo avuto modo di riflettere sul funzionamento delle comunità riabilitative e delle case-famiglia impegnate ad accogliere malati ed ex-malati di mente.

Gli aspetti da trattare intorno a questo problema sarebbero molti e scelgo volutamente di concentrarmi su uno: quello economico.

Queste strutture sono private e anche se, quasi sempre gestite da cooperative o da enti comunque senza fine di lucro, operano in una logica di mercato nel senso più deteriore del termine. Che significa?

Ci potrebbe essere il rischio che il benessere degli ospiti sia in competizione con il profitto e la necessità di mantenere un piccolo esercito di dipendenti e collaboratori.
Anzitutto le strutture sono adattate quasi sempre al fine di accoglienza dei pazienti, mi è capitato di trovarmi in una ex pizzeria discobar e in una villa parzialmente abusiva, ma c’è di peggio. Quando con la legge Basaglia si sono chiusi i manicomi, certo non si era pensato di destinare i malati in strutture più piccole scarsamente manutenute e spesso fatiscenti.

Preciso subito che un ospite di comunità o casa-famiglia costa alla Repubblica Italiana decine di migliaia di euro all’anno e questo deve essere uno stimolo per ragionare senza tabù sull’argomento ospitalità dei malati psichiatrici che rimangono in Italia malati di serie B. Non perché vengano allocate poche risorse, ma perché manca tutta una seria rete di controlli e verifiche sul funzionamento di queste strutture. Sulla carta per fare un esempio dovrebbe esserci l’impianto di condizionamento o l’autoclave in ognuna di esse. Ma chi l’ha visto?

Ma a parte questo il vero problema è: si può tenere questa gente chiusa in strutture che costano tanto senza che ci sia un fondato motivo?

Sì perché la maggior parte di questi ospiti è autonoma, non costituisce pericolo per sé stessa e per gli altri. E’ in grado di lavorare e l’unica eccezione numericamente rilevante è data dai detenuti, domiciliati presso queste strutture per motivi vari che non voglio indagare.

Qui si dovrebbe essere preparati all’inserimento lavorativo, ma quasi sempre non è così, le comunità sono dei parcheggi per degenti senza mezzi e senza una famiglia propensa ad accoglierli, anche se l’unico problema effettivo è costituito da una certa tendenza a non assumere con regolarità una terapia farmacologica che ne stabilizzi la condizione patologica. Ci sono le eccezioni che spesso balzano con risalto agli onori delle cronache, ma il problema principale dell’ospite medio di queste strutture è che ha bisogno di qualcuno che gli faccia prendere la terapia.

Ma si possono pagare milioni di euro per questa problematica?

Valutati i pro e i contro: NO.

Gli ospiti vanno tenuti nelle famiglie naturali o adottive con servizi domiciliari di supporto e assistenza e con il versamento di adeguati bonus economici alle famiglie naturali o adottive. Perché solo una dimensione familiare può garantire un ambiente sano e dignitoso per i malati psichiatrici. Non si tratta di tagliare posti di lavoro perché ci sarebbe una richiesta di manodopera qualificata nel territorio e presso il domicilio del malato.
Gli incentivi economici rivenienti dal risparmio sui costi delle strutture residenziali, destinate quindi, solo a chi ne ha veramente necessità, servirebbero a incoraggiare nuclei familiari “ adottivi “ a prendersi cura dei malati con il sostegno di adeguati professionisti che vanno dall’OSS fino allo psicologo, allo psichiatra e all’avvocato, tanto per citarne alcuni.

8 giugno 2021