Date le conoscenze sui vaccini antiHPV (rimando a: DI MARIO S, et al.. Il vaccino contro il papillomavirus: efficacia dichiarata ed efficacia dimostrata. Medico e Bambino, 2007; 9:562-71), le questioni aperte sono:

a)     l’efficacia dei vaccini è stata verificata considerando la riduzione di incidenza di displasie gravi e non del tumore, per cui è necessario attendere 30-40 anni. é informazione ingannevole dichiarare che i vaccini prevengono il tumore e le Autorità hanno la responsabilità e l’obbligo di intervenire.

b)    la persistenza dell’immunità vaccinale non è dimostrata sufficiente a coprire la storia naturale del tumore e l’eventuale rivaccinazione, necessaria in caso di immunità non “long life”, riguarderebbe persone sessualmente attive e quindi a rischio di infezione da HPV nel periodo finestra tra perdita dell’immunità e rivaccinazione. È accertato che la vaccinazione non è efficace in caso di precedente infezione.

c)     assunto che la profilassi vaccinale con i vaccini disponibili protegge dall’infezione di alcuni ceppi associati come causa necessaria (ma non sufficiente) al 70% dei casi di tumore (al riguardo non ci sono validi studi descriventi il pattern dei ceppi HPV implicati nelle varie aree geografiche e il relativo peso), è necessario continuare e migliorare lo screening con Pap test secondo le raccomandazioni vigenti, tenendo conto  che al Sud, ma non solo, la copertura è insufficiente e, sono penalizzate le persone  meno abbienti, più a rischio di infezione e di tumore. Errori di strategia operativa, interferenza di messaggi fuorvianti (da citare per la sua gravità il consiglio del prof. Veronesi in una trasmissione di ELISIR di qualche anno fa di effettuare il Pap test ogni anno, delegittimando l’offerta del Pap test da parte delle ASL con periodicità di tre anni, come da raccomandazioni della commissione oncologica nazionale, al professore ben note essendo stato ministro della salute), carenze di servizi di base in grado di organizzare una valida offerta attiva del Pap test sono da rimuovere: il proseguimento dello screening è necessario per tenere sotto controllo lo sviluppo tumorale sostenuto dai ceppi non contenuti nei vaccini  disponibili. Il proseguimento dello screening è essenziale anche per la verifica a distanza della supposta ma non dimostrata efficacia del vaccino a prevenire il tumore. Ma non è tutto.

d)    Non si può trascurare il rischio (già evidenziato in altre circostanze) che la pressione selettiva creata con la vaccinazione contro i ceppi considerati dia spazio agli altri implicati nello sviluppo tumorale, eventualità che vanificherebbe l’intervento attuale di profilassi.

e)     Si da per scontato che i servizi saranno in grado di raggiungere tutta la popolazione “bersaglio” su tutto il territorio nazionale. Dopo l’introduzione della vaccinazione, obbligatoria, contro l’epatite B una indagine epidemiologica mise in evidenza che nel meridione circa il 30% degli adolescenti non completava il ciclo delle tre dosi. Si trattava, come sempre, delle situazioni di emarginazione sociale, da cui provenivano praticamente tutti i casi di epatite B in quella fascia di età, sia prima che dopo l’introduzione della profilassi vaccinale (Stroffolini T, et al. Vaccination campaign against hepatitis B for 12-year-old subjects in Italy. Vaccine 1997; 15 (5): 583-585.).  Non ci sono elementi per sostenere che i servizi di sanità pubblica di base siano migliorati, piuttosto sono peggiorati.

f)     C’è serio rischio che si riduca l’adesione allo screening, da parte di chi si vaccina, anche a causa del livello di oscenità con cui viene propagandata la vaccinazione come panacea.

g)     L’imponente sforzo economico per l’acquisto dei vaccini e l’impegno aggiuntivo dei servizi, costantemente  sottoposti a uno stillicidio continuo di riduzione di risorse, soprattutto umane, sottrarrà risorse essenziali per la generalità dei servizi primari dedicati alla promozione della salute, in primis i consultori familiari, secondo il modello operativo delineato nel Progetto Obiettivo Materno Infantile (POMI). Da notare che nel POMI uno dei programmi strategici è proprio lo screening per il tumore del collo dell’utero, con un ruolo decisivo dei consultori familiari nell’offerta attiva del Pap test.

Per quanto detto, lo screening deve essere potenziato. E se ben condotto da solo risolve sostanzialmente il problema del tumore (riduzione del 90%),. Cioè lo strumento da utilizzare per verificare l’efficacia dell’intervento vaccinale di per sé risolve meglio il problema .

La scelta di vaccinare non è giustificata né sul piano del merito né secondo un criterio di priorità. Se l’ingente impegno economico previsto per la vaccinazione venisse impiegato per l’applicazione integrale del POMI, con l’adeguato potenziamento della rete e delle attività dei consultori familiari secondo le indicazioni del POMI stesso, si otterrebbero risultati di gran lunga più consistenti, non solo riguardo al tumore ma anche per tutte le altre aree di promozione della salute della donna e dell’età evolutiva e, di conseguenza, della famiglia e della società.

Le decisioni in sanità pubblica vengono prese sulla base del parere di esperti coinvolti nei contesti istituzionali (CSS, ISS, AIFA). Tali esperti non devono avere connessioni per finanziamenti ricevuti dalle o per attività di consulenza svolta alle aziende produttrici dei prodotti per il cui uso ci si deve esprimere.

Non devono essere riconosciuti punti ECM ai corsi, convegni, congressi su temi che considerano i prodotti in questione, sponsorizzati dalle aziende produttrici o con docenti, moderatori e facilitatori implicati in rapporti di consulenza o finanziati dalle aziende in questione.

Altrimenti non si fa sanità pubblica, si fa mercato, il più ignobile, speculativo sulla salute con le risorse che i cittadini mettono a disposizione con le tasse, il che rende la speculazione ancora più odiosa.

Michele Grandolfo, epidemiologo