Stefano Palmisano

“Eccesso di mortalità per tumori maligni allo stomaco, per infarto del miocardio, per le malattie del sistema respiratorio nel loro complesso, per le malattie dell’apparato digerente nel loro complesso”. In più per i soli uomini residenti nei comuni presi in esame “si rilevano ulteriori eccessi per la mortalità generale, per leucemia linfoide (acuta e cronica), per diabete mellito insulino-dipendente, per le malattie del sistema circolatorio nel loro complesso (ed, in particolare, per le cardiopatie ischemiche), per le malattie respiratorie croniche”. Per le donne invece “si riscontrano ulteriori eccessi di mortalità per le malattie respiratorie acute”.

A quanto si legge sul sito “ilfattoquotidiano.it”, questi sarebbero i risultati emersi da un’indagine condotta dall’Istituto Superiore di Sanità su venti comuni della Val d’Agri e già consegnata alla Regione Basilicata, ma da questa ancora non pubblicata. L’Istituto specifica che il tipo di indagine svolto “non permette di stabilire sicuri nessi di causalità tra l’esposizione ad inquinanti ambientali e stato di salute della popolazione”, ma spiega che le esposizioni potrebbero “costituire una eventuale concausa”.

Da qui dovrebbe partire il “dibattito pubblico” sugli effetti dell’inondazione di petrolio che ha insozzato l’ambiente lucano e pezzi significativi delle “classi dirigenti” nazionali; quando mai queste ultime avessero necessità degli schizzi di quel fiume sporco per macchiare la loro immagine non precisamente immacolata. Chi ha trivellato ha estratto e portato via il petrolio, i profitti e lasciato sul territorio solo le scorie, i rifiuti, i costi, ambientali e sanitari. E’ un classico, specie in questo Paese, specie in questa parte di Paese, del rapporto tra i territori e le loro ricchezze.

Quand’anche di quel rapporto causale tra l’inquinamento da petrolio e lo stato di salute e soprattutto di malattia degli uomini, delle donne e dei bambini della Val d’Agri vi dovesse essere anche solo un’eventualità, sarebbe, dovrebbe esser più che sufficiente, per chi ha responsabilità di governo e di controllo a tutti i livelli, per adottare tutte le misure idonee, nessuna esclusa, a tutelare compiutamente l’ambiente, la salute e la vita di quelle popolazioni.

Sull’assunto che questi ultimi sono, devono essere i beni prioritari nella considerazione e nella conseguente azione di governanti e controllori, come sancisce la nostra Carta Costituzionale. Si chiama “principio di precauzione”, ed è una delle regole fondative della politica ambientale e sanitaria di questo Paese, ma, ancor prima, dell’Unione Europea.

Ancora una volta, invece, tutto accade, tutto veniamo a sapere solo perché intervengono uomini e donne in toga, facendo solo il loro dovere, ma perciò stesso effettuando l’esecrata opera di “supplenza” nei confronti di quegli organi pubblici che con il loro dovere hanno, invece, un rapporto evidentemente più critico. Sul punto, il Procuratore capo di Potenza afferma, in un suo comunicato, che non sono in corso indagini per disastro ambientale.

Noi ci guardiamo bene dal voler insegnare il loro mestiere agli altri, specie quando si tratta di magistrati; e siamo perfettamente consapevoli che, per una elementare questione di serietà, le valutazioni su una vicenda processuale si fanno con cognizione di causa, ossia dopo aver letto le carte. Ma, che il procedimento per disastro ci sia o meno, non sappiamo perché il Procuratore abbia sentito la necessità di emettere una nota del genere.

Sappiamo, però, che dal maggio 2015, il disastro ambientale, nel codice penale, è costituito, alternativamente, da una serie di condotte contro l’ambiente o contro l’incolumità pubblica: “1) l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema; 2) l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali; 3) l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo.”

Condotte che, in alcuni casi, riecheggiano assai da vicino quello che, a quanto pare, è accaduto in Val d’Agri. Ma, soprattutto, sappiamo che quando una popolazione subisce un attentato al suo territorio, alla sua salute deve esercitare il suo diritto – dovere di controllo civile, di vigilanza democratica subito e senza zone franche.

Fermo il rispetto per le prerogative degli organi istituzionali, questo principio deve valere anche quando si tratta di organi di giustizia. Perché poi, per quella popolazione, può essere troppo tardi: per tutelare seriamente il suo territorio e la sua salute, ma anche solo per avere giustizia. Questa è la triste lezione che noi abbiamo imparato sul nostro territorio.

Chi, a livello di decisione amministrativa e soprattutto politica, ha autorizzato l’estrazione del petrolio e dei profitti dalla Val d’Agri e non ha vigilato sullo smaltimento dei rifiuti e, più in generale, sui costi ambientali connessi a quell’estrazione, chi ha colluso con quei trivellatori dell’ambiente e della salute pubblica lucani, nonché dell’etica civile del Paese, oggi, in larga parte, invita gli uomini e le donne di questo Paese a boicottare il referendum contro le trivelle in mare, ma che ha, ovviamente, uno straordinario significato politico – culturale nei confronti di tutte le trivelle; per non dire di questa idea di sviluppo, di questo sistema politico – economico.

In pratica, li invita a boicottare uno degli ultimi strumenti di partecipazione democratica, cioè di autodifesa collettiva, a loro disposizione.

Chissà che quegli uomini e quelle donne, come accadde già cinque anni fa con i referendum in materia di acqua e di nucleare, non dimostrino a lorsignori che le trivelle al massimo possono devastare un territorio, anche ampio, e la salute di chi ci vive, ma non la mente di un popolo.